Giovani: la marginalità come spazio
di innovazione?
Sul numero 1/2022 della rivista “Politiche Sociali/Social Policies”
Ilaria Pitti approfondisce cosa significhi favorire l’inclusione dei
giovani andando oltre la dimensione economico-lavorativa e
concentrandosi sulle opportunità del piano civico e politico.
Guardano in particolare alla “marginalità positiva”.
di Ilaria Pitti
Restituire complessità alla “questione giovanile”
Nel momento in cui ci si interroga sulla cosiddetta “questione giovanile”,
l’attenzione viene spesso catturata da dati e riflessioni sulle difficoltà di
inserimento socio-lavorativo dei giovani e sulla maggiore complessità che
caratterizza i processi di transizione alla vita adulta nella contemporaneità. In
effetti, i problemi che i giovani affrontano nell’inserirsi nel mercato del lavoro e
le conseguenze di ciò sul superamento di altre soglie dell’adultità (ad
esempio, uscire dalla casa dei genitori, costituire una propria famiglia)
costituiscono, soprattutto in Italia, un innegabile questione sociale. Tuttavia,
comprendere la condizione giovanile contemporanea solo attraverso l’analisi
della loro (debole) inclusione economico-lavorativa rischia di produrre una
lettura “doppiamente semplificata” della marginalità giovanile.
In primo luogo, guardare solo all’inclusione economico-lavorativa semplifica la
condizione di marginalità esperita dalle giovani generazioni nascondendo
forme di esclusione che si realizzano, per esempio, sul piano civico e politico.
Guardare solo all’inclusione economico-lavorativa significa, infatti, non
riconoscere come questa sia “nutrita” dalle (e nutra le) difficoltà di accesso dei
giovani agli spazi della partecipazione istituzionale, dall’esclusione dei temi
giovanili (che interessano i giovani o sono interessanti per i giovani)
dall’agenda politica e dal mancato riconoscimento dei giovani come “full
citizens”1.
In secondo luogo, una lettura della condizione giovanile focalizzata solo sul
piano dell’inclusione economico-lavorativa limita la possibilità di riconoscere il
potenziale valore positivo della marginalità giovanile, intesa come capacità di
mettere in discussione e rileggere la società e le sue istituzioni a partire da un
punto di vista liminare, periferico e quindi diverso. Volgere lo sguardo solo al
piano dell’inclusione economico-lavorativa rischia, infatti, di riprodurre una
lettura delle giovani generazioni come vittime inermi e passive della loro
condizione di marginalità e di non riconoscere le richieste e le pratiche di
ri-significazione sociale che da quella marginalità possono essere elaborate.
In linea con il pensiero di Bell Hooks2, è infatti possibile e necessario
distinguere “tra la marginalità che è imposta da strutture oppressive e la
marginalità che scegliamo come luogo di resistenza – uno spazio di apertura
radicale e di possibilità” (mia traduzione) e osservare le loro interazioni.
Restituire complessità alla condizione giovanile, in questa prospettiva, implica
considerare quali condizioni di inclusione sociale e quali opportunità di
coinvolgimento civico e politico sono offerte alle giovani generazioni come
dimensioni che si influenzano a vicenda.
I giovani italiani tra marginalità negativa e
marginalità positiva
Guardando congiuntamente al rapporto tra “partecipazione” intesa come “fare
parte” e “partecipazione” nel senso di “prendere parte”3, è possibile fare luce
sulla specifica posizione che i giovani hanno come cittadini e riflettere sul
rapporto tra inclusione e coinvolgimento come spazio in cui la marginalità
viene sia riprodotta che rielaborata. A partire da questa angolazione, la
condizione dei giovani italiani in questi primi decenni del XXI secolo può
essere letta come un vero e proprio spazio sociale che si sviluppa tra la
“marginalità negativa” a cui i giovani sono costretti per la propria posizione nel
mercato lavorativo e occupazionale e la “marginalità positiva” che le giovani
generazioni italiane stanno sviluppando e manifestando nelle arene della
partecipazione e, in particolar modo, nel contesto delle pratiche non
istituzionalizzate della partecipazione.
Sul piano dell’inclusione, le giovani generazioni italiane esperiscono una
condizione di marginalità negativa fin dagli anni ’80, quando i livelli di
disoccupazione giovanile hanno iniziato progressivamente a crescere. Più
recentemente, la crisi economica del 2008 e le conseguenti misure di austerity
hanno indubbiamente inasprito la marginalizzazione sociale dei giovani italiani
le cui prospettive di vita, secondo molte analisi, rischiano di essere
ulteriormente indebolite dagli effetti socioeconomici della pandemia da
Covid-19. Guardare a questa situazione considerando il rapporto tra
inclusione sociale e coinvolgimento significa riconoscere, in primo luogo, che i
giovani italiani si trovano nella condizione di marginalità negativa propria dei
“denizens”: formalmente inclusi e sostanzialmente esclusi, essi sono da
tempo costretti a muoversi in un contesto che li accoglie solo parzialmente
garantendo loro diritti sostanziali di inclusione.
Da un’altra prospettiva, considerare la posizione dei giovani italiani attraverso
il rapporto tra inclusione sociale e coinvolgimento civico e politico permette di
evidenziare come, durante l’ultimo decennio, l’esperienza della marginalità
negativa sul piano lavorativo-occupazionale abbia alimentato anche una
trasformazione del modo di partecipare dei giovani italiani. Sebbene difficile
da quantificare per la sua natura volatile, la sfera della partecipazione
giovanile non istituzionalizzata ha, negli ultimi anni, dimostrato la sua capacità
di divenire spazio di apertura radicale sotto diversi punti di vista.
Nell’evidenziare il collegamento tra le forme della partecipazione civica e
politica giovanile contemporanea e la prolungata condizione di
“periferizzazione sociale” esperita dalle giovani generazioni italiane, è stato da
più parti sottolineato il potenziale trasformativo delle pratiche partecipative
giovanili e la loro potenziale capacità di ri-significare il concetto di inclusione
sociale.
Focalizzandosi primariamente sulle questioni dell’inclusione economica, dei
diritti delle minoranze, dell’uguaglianza di genere e della giustizia ambientale,
le forme del coinvolgimento civico e politico dei giovani italiani si
distinguerebbero, infatti, per la loro potenziale capacità di produrre – a partire
dalla prolungata condizione di marginalità esperita dalle giovani generazioni –
nuove soluzioni a radicati problemi sociali di inclusione. Questa possibilità si
collega, in particolare, a due trasformazioni che appaiono caratterizzare le
forme del coinvolgimento non istituzionale dei giovani.
Da un lato, infatti, queste avrebbero assunto un carattere più “sistemico”. Le
narrazioni e le soluzioni che i giovani italiani impegnati in forme di
partecipazione non istituzionalizzate elaborano collegherebbero in modo più
esplicito le questioni individuali e locali a una critica sistemica, dimostrando
così una profonda consapevolezza della natura interconnessa e sfaccettata
della disuguaglianza sociale. Dall’altro, un secondo elemento di novità è stato
notato nel tentativo di creare, attraverso le forme di attivazione civica e politica
realizzate al di fuori delle istituzioni, alleanze con altre soggettività e gruppi
sociali. Le attuali forme di impegno civico e politico dei giovani si
distinguerebbero, infatti, per un approccio intersezionale che si
concretizzerebbe nel tentativo costante di creare connessioni tra diverse
questioni sociali e tra i gruppi da esse interessati.
Le implicazione del coinvolgimento civico e politico
Quali implicazioni hanno le forme contemporanee del coinvolgimento civico e
politico dei giovani per il modo in cui pensiamo all’inclusione sociale?
Uno sguardo attento alle pratiche di attivazione civica e politica dei giovani
italiani permette di notare come le idee di inclusione sociale espresse, per
esempio, da movimenti (prevalentemente) giovanili come Fridays For Future
(FFF) non siano rilevanti solo per i giovani, ma abbiano la potenziale capacità
di dare un nuovo – più articolato e aperto – significato al concetto di inclusione
sociale. Infatti, nel rivendicare il proprio diritto al futuro, i giovani che
partecipano alle manifestazioni di FFF non solo reclamano il medesimo diritto
per tutti, ma lo fanno immaginando un modello di società in cui giustizia
ambientale e giustizia sociale vanno di pari passo e in cui gli interessi
individuali si connettono alle dinamiche globali.
Collegando tra loro questioni (come ambiente e inclusione sociale), gruppi (ad
esempio, giovani italiani e migranti climatici) e piani apparentemente distanti
(dalle azioni quotidiane alle dinamiche globali), le pratiche di attivazione civica
e politica dei giovani contemporanei appaiono, soprattutto, invitarci a mettere
in connessione istanze sociali che spesso concepiamo come separate. Le
pratiche partecipative dei giovani sembrano, infatti, ripensare l’inclusione
sociale come un problema che non può essere affrontato per settori, problemi
o gruppi, ma solo riconoscendo e affrontando le interconnessioni che esistono
tra questi. In tal senso, considerare la voce dei giovani nel ripensare
l’inclusione sociale non implica solo promuovere una (quantomai necessaria)
redistribuzione delle risorse tra le generazioni, ma riconoscere che l’inclusione
sociale si realizza pienamente solo tramite politiche capaci di creare
“alleanze” tra interessi sociali apparentemente distanti.