La triste eredità di Michail Gorbaciov: un
uomo buono che la storia giudicherà
duramente
di Alexander Titov*
Nessuno, a parte l’ultimo leader dell’Unione Sovietica, Michail Gorbaciov,
morto all’età di 91 anni, poteva riportare in vita l’eterno dibattito sul ruolo
dell’individuo nella storia. I grandi cambiamenti sono causati da impersonali
fattori strutturali o dalle singole scelte di persone influenti?
Per molti anni ho pensato che la fine dell’URSS fosse inevitabile. Eppure più
leggo e rifletto sul tema, meno ciò mi sembra evidente. E così il ruolo di
Gorbaciov diventa sempre più significativo per due eventi epocali: la fine della
Guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Ancora oggi gli storici dibattono animatamente sul crollo sovietico. Alcuni
evidenziano i problemi strutturali a lungo termine dell’URSS: la mancanza di
legittimità popolare del governo sovietico, il ribollire di tensioni etniche, fino
all’incapacità cronica dell’economia di comando nel soddisfare la crescente
domanda dei consumatori e di tenere il passo con la crescita dell’Occidente.
Allo stesso tempo, quando Gorbaciov salì al potere c’era ancora un sistema
piuttosto solido che conteneva il dissenso e manteneva la parità militare con
l’Occidente. Nel marzo 1985, quando il segretario generale salì al potere, nulla
faceva pensare che il crollo dell’intero sistema fosse inevitabile da lì a sei
anni.
Gorbaciov voleva riformare il sistema sovietico, non abbatterlo. Diede il via a
riforme economiche investendo ingenti somme nell’industria pesante, insieme
a una parziale liberalizzazione del piccolo commercio e a un contestato giro di
vite sul consumo di alcol. Ma queste decisioni, a parte l’impopolare campagna
contro gli alcolici, erano in fin dei conti mezze misure. Ciascuna ha contribuito
a peggiorare la situazione.
Le riforme economiche di Gorbaciov hanno minato il rigore dell’economia di
comando. L’aver mantenuto il controllo dei prezzi da parte dello Stato e il
divieto di proprietà privata fecero funzionare peggio di prima quanto restava
del vecchio sistema statale, mentre il nuovo sistema di mercato non riuscì a
decollare. L’origine delle vaste ricchezze illecite, legalizzate sotto Boris Eltsin,
si deve alla perestrojka, alla sua ristrutturazione del sistema economico.
Trovandosi di fronte a gravi difficoltà economiche, aggravate dal crollo dei
prezzi del petrolio, Gorbaciov decise di concentrarsi sulle riforme politiche.
L’obiettivo era quello di dare maggiore legittimità al sistema sovietico
attraverso una parziale democratizzazione. Gorbaciov ha sempre pensato che
le sue riforme fossero minacciate dai conservatori all’interno dell’apparato
sovietico. Furono tuttavia i democratici guidati da Elstin a distruggerlo.
Gorbaciov si ritrovò tra l’incudine e il martello. Le sue riforme erano eccessive
per i conservatori, troppo modeste per i democratici. Creò la carica di
presidente per preservare il suo potere mentre l’autorità del Partito comunista
era sempre più minata dai dibattiti pubblici, dalle rivelazioni sul passato
sovietico e dalla crescita dei movimenti nazionali nelle repubbliche etniche.
Ma non osò mai affrontare un’elezione popolare e, di conseguenza, mancò
sempre di legittimità popolare; un risultato ironico, trattandosi dell’obiettivo
delle sue riforme politiche.
Eltsin, invece, ottenne un mandato popolare con oltre l’80% dei voti nelle
elezioni russe del 1989. Emerse come centro di potere alternativo con la
missione di distruggere Gorbaciov, anche se ciò implicava la dissoluzione
dell’URSS.
Col senno di poi, sembra che Gorbaciov ignorasse semplicemente come
funzionava il sistema sovietico. Credeva in cuor suo che fosse possibile
salvarlo una volta eliminati alcuni elementi, come la paura della repressione e
l’economia pianificata. Invece quegli elementi si sono rivelati essenziali per la
sua sopravvivenza. Dopo averli eliminati, l’intero sistema si è sgretolato.
Gorbaciov è emerso come segretario generale in uno snodo cruciale, quando
il sistema sovietico si trovava a un bivio. E involontariamente ha fatto pendere
la bilancia verso il crollo. A giudicare dalle sue stesse condizioni, ha fallito nel
compito essenziale che si era preposto. Voleva riformare e migliorare il
sistema sovietico, e invece lo ha portato alla sua totale disintegrazione.
La fine della Guerra fredda
Lo stesso senso di fallimento incombe anche sulla politica estera di
Gorbaciov. È qui che si riscontra un enorme divario tra la percezione
occidentale e quella russa del periodo in cui è stato in carica. All’inizio degli
anni Ottanta, in Europa ci fu un enorme sviluppo di armi nucleari, con nuovi
missili a raggio intermedio schierati sia dall’URSS che dagli Stati Uniti. Il
richiamo al cosiddetto “impero del male” di Ronald Reagan nei confronti
dell’Unione Sovietica rifletteva le tensioni e lo scarso spazio per i
compromessi.
Gorbaciov cambiò questo scenario. Invece di uno stallo nucleare a somma
zero, voleva una nuova sicurezza, basata su interessi condivisi e valori
comuni. Invece di una sicurezza fondata sulla distruzione reciprocamente
assicurata, Gorbaciov ne propose una costruita sulla fiducia reciproca. Come
per le riforme interne, l’obiettivo non era di rinunciare al potere sovietico, ma di
preservarlo con nuovi presupposti.
Con gli Stati Uniti furono negoziati trattati chiave per la riduzione degli
armamenti, tra cui il trattato INF del 1987, che eliminò tutti i missili a raggio
intermedio, e il trattato START 1, che ridusse drasticamente gli arsenali
nucleari statunitensi e sovietici, firmato nel 1990.
Nel 1988, Gorbaciov annunciò persino una riduzione unilaterale di 500.000
truppe sovietiche di base in Europa. In Europa orientale, il leader sovietico
favorì la “Dottrina Sinatra” (che deve il nome dall’interprete di “My way”),
permettendo ai paesi satellite di fare le riforme senza ingerenze, “a modo
loro”, e rifiutando di sostenere con la forza i regimi comunisti contrari a
riformarsi a loro volta.
Anche in questo caso, Gorbaciov si aspettava che i governi socialisti riformati
sarebbero sopravvissuti con una nuova legittimità. Ma si trattava di un
grossolano equivoco sulla natura di quei regimi, mantenuti dalle forze
sovietiche e con scarso consenso locale.
Il crollo del Muro di Berlino e la successiva unificazione tedesca misero
l’ultimo chiodo sulla bara della Guerra fredda. È questa eredità che continua a
irritare i leader russi, da Eltsin a Putin.
Gorbaciov godeva di una notevole influenza grazie alla giurisdizione sovietica
in Germania e alle truppe stanziate nel paese. I tedeschi avevano bisogno
della cooperazione sovietica per l’unificazione ed erano disposti a dare molto
in cambio, tra cui il promettere “non un centimetro a est” per la NATO dopo la
riunificazione. Ma Gorbaciov fallì totalmente nell’usare la sua posizione e nello
strappare garanzie vincolanti sulla futura espansione militare. I leader russi
che gli sono subentrati – così come lo stesso Gorbaciov nelle sue memorie –
hanno poi accusato l’Occidente di tradimento.
Ma è la sua stessa incapacità di ottenere garanzie ufficiali a essere al centro
delle lamentele russe. La verità è che l’idealismo di Gorbaciov in politica
estera, con la sua enfasi sugli interessi reciproci e sui valori comuni, funziona
solo se entrambe le parti condividono in egual misura queste prospettive.
A differenza delle sue controparti occidentali, che sapevano esattamente cosa
volevano (una riunificazione della Germania alle loro condizioni, tagli agli
armamenti, nucleari e convenzionali, mantenendo la libertà di espandere la
NATO più a est), Gorbaciov semplicemente non sapeva cosa volesse al di là
di una grande visione di pace mondiale. Alla fine, si limitò a prendere tempo e
a continuare a chiedere a tedeschi e americani più soldi, sperando che i
molteplici problemi si risolvessero in qualche modo da soli.
Non sorprende che la fine della Guerra fredda sia vista in Occidente come
una vittoria, come proclamato da George Bush nel gennaio 1992.
Gorbaciov voleva una nuova sicurezza internazionale, basata su interessi
reciproci e valori comuni, ma ha concluso la Guerra fredda con il manto della
sconfitta sulle spalle del paese da lui guidato.
L’eredità di Gorbaciov
È complicato valutare Gorbaciov, considerando che la maggior parte delle
cose che si era proposto di fare non hanno funzionato. Gli va riconosciuto il
merito delle conseguenze non volute delle sue riforme?
Molti hanno beneficiato delle politiche di Gorbaciov, soprattutto i paesi dell’ex
blocco orientale che hanno potuto finalmente ricongiungersi al loro posto
naturale in Occidente, nell’Unione europea e nella NATO.
Anche molte persone nell’ex URSS – me compreso – hanno beneficiato della
nuova libertà e delle opportunità offerte dalla perestrojka e dal crollo sovietico.
Ma per molte altre persone la dissoluzione alla fine degli anni Ottanta e negli
anni Novanta ha rappresentato un’enorme difficoltà.
I russi godono ancora di ampie libertà economiche e personali che erano
inimmaginabili sotto l’URSS, ma sono anche governati da un nuovo regime
autoritario, ancora popolare, con libertà politiche che vanno sempre più
riducendosi. Si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato senza il trauma del
crollo e della transizione degli anni Novanta? Probabilmente no, ma molti non
saranno d’accordo.
La sicurezza internazionale è stata rafforzata dal punto di vista dell’Occidente,
poiché ora i russi combattono sul Dnipro in Ucraina invece di tenere la linea
sull’Elba in Germania. Ma le possibilità di un’escalation in una guerra diretta
tra la Russia e la NATO sono molto più alte ora che durante tutta la guerra
fredda: le “linee rosse” sono sfumate, mentre in Ucraina c’è essenzialmente
una spirale di escalation militare incontrollabile.
E qualsiasi conflitto diretto con la NATO è molto probabile che implichi – data
l’inferiorità della Russia negli armamenti convenzionali – l’uso di armi nucleari
tattiche. Tutto questo dopo gli enormi tagli agli armamenti nucleari effettuati
alla fine degli anni Ottanta, che avebbero dovuto essere l’eredità principale di
Gorbaciov.
Non è del tutto sorprendente che l’attuale successore di Gorbaciov al
Cremlino creda solo nella pura forza come argomento definitivo nelle relazioni
internazionali. Anche questa è una vera tragedia.
Sul piano interno, l’atteggiamento di Putin è plasmato dagli errori attribuiti a
Gorbaciov. Le riforme e la liberalizzazione possono portare al collasso dello
Stato, e questo è accaduto due volte nella Russia del XX secolo: nel 1917 e
nel 1991. Quindi, grazie anche a Gorbaciov, Putin ritiene che non perdere il
controllo sia la chiave per la sopravvivenza dello Stato e del regime.
Gorbaciov è ancora un enigma per me – non ultimo per il contrasto tra
l’astuzia con cui ha raggiunta la vetta e, una volta in cima, la totale ingenuità
verso il sistema sovietico nel suo complesso e verso il potere nelle relazioni
internazionali. Eppure ha fatto crollare l’URSS e senza di lui la Guerra fredda
non sarebbe finita.
Il miglior riassunto dell’eredità di Gorbaciov viene da uno dei suoi più stretti
collaboratori: era bravo come messia, ma ha perso come politico.
*Alexander Titov insegna storia dell’Europa moderna alla Queen’s University
Belfast.
Questo articolo è una traduzione dell’originale pubblicato in inglese su The
Conversation con licenza Creative Commons.
fonte: VALIGIA BLU