ANALISI E COMMENTI – Bankitalia svela gli effetti del cambiamento climatico sull’economia

Bankitalia svela gli effetti del cambiamento
climatico sull’economia


di Saturno Illomei
Il rapporto della Banca d’Italia concentra la propria attenzione su uno dei
settori esposti come l’agricoltura, in quanto “le temperature e le
precipitazioni sono input diretti nel processo produttivo”. Cosa è
emerso
Le temperature sopra la media di questo periodo ce lo ricordano in modo
univoco: il 2022 è stato l’anno più caldo di sempre, sia per le temperature
massime che per quelle medie (per le minime il record è del 2018). Stesso
discorso per le precipitazioni con un meno 21% che lo vede secondo solo al
2001 (-23%). Tutto questo avrà effetti negativi sulla nostra economia (ma
anche l’Europa non sta messa bene), soprattutto per quanto riguarda
l’agricoltura e il turismo. A confermarlo è uno studio della Banca d’Italia (“Gli
effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana”).
“A meno che nei prossimi decenni – si legge nel rapporto – non vengano
messe in atto riduzioni su larga scala delle emissioni, è probabile che nel
corso del XXI secolo l’aumento della temperatura media della superficie
terrestre superi 1,5°C o anche 2°C”. Nel primo caso avremmo stagioni calde
più lunghe e stagioni fredde più brevi. Nel secondo “gli estremi di calore
raggiungerebbero soglie di tolleranza critiche per lo svolgimento di alcune
attività umane”. Assisteremo ad un aumento del livello del mare, con
conseguenti inondazioni ed erosione delle coste. Si intensificherà lo
scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare. Il riscaldamento degli oceani
condizionerà gli ecosistemi marini.
“Sebbene i climatologi siano concordi nell’affermare che in assenza di
drastiche riduzioni delle emissioni i cambiamenti climatici sarebbero
sostanziali, esiste ancora una notevole incertezza sull’esatta entità dei danni,
oltre che sulla possibilità che si verifichino eventi catastrofici irreversibili”.
Secondo uno studio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici,
pubblicato nel 2020 (citato nel rapporto di Bankitalia) “l’area mediterranea
sarà caratterizzata da un riscaldamento più elevato del 20% rispetto a quello
medio globale”. Per l’Italia questo significa un aumento della temperatura fino
a 2 gradi tra il 2021 e il 2050, con una diminuzione delle precipitazioni estive
soprattutto nelle regioni centrali e meridionali e con un aumento degli eventi
climatici estremi: bombe d’acqua e ondate di calore.
Il cambiamento climatico, ricorda il rapporto, è “un fenomeno complesso che
lega a doppio filo dinamiche socio-economiche e naturali: da un lato i
comportamenti delle persone e delle imprese influenzano le emissioni di gas
serra e dunque l’evoluzione futura del clima; dall’altro i mutamenti in atto
influenzano le scelte degli stessi agenti economici che tentano di trovare
strategie per la mitigazione e l’adattamento”. Per affrontare la sfida del
cambiamento climatico, quindi, è necessaria la comprensione dei fenomeni
naturali e, allo stesso tempo, fornire risposte e soluzioni alle problematiche di
natura economica e sociale.
Da molto tempo ormai gli economisti basano le proprie valutazioni su “analisi
empiriche”. Nello studio del cambiamento climatico queste analisi “consentono
di quantificare con precisione l’impatto del riscaldamento globale su alcuni
settori o mercati”. I risultati di queste analisi possono permettere ai decisori
pubblici di predisporre misure efficaci per contrastare questo fenomeno. La
climatologia, la geologia e l’ingegneria potranno dare il loro contributo
all’economia per una più completa comprensione di queste problematiche.
“Poter fondare le politiche economiche su evidenze statistiche credibili rafforza
l’azione del settore pubblico, sia per quanto riguarda l’efficacia sia per i profili
di trasparenza”. Soprattutto nel campo delle politiche ambientali, come
dimostrano gli interventi previsti per la transizione ecologica dal Pnrr.
Le azioni e il coordinamento delle politiche climatiche a livello internazionale è
stato fatto attraverso accordi e convenzioni con le quali i vari Paesi si
impegnavano a ridurre le emissioni di gas serra entro una certa data. A
cominciare da Kyoto (1997) fino a Parigi (2015). L’Unione europea, e con
essa il nostro Paese, ha assicurato di ridurre, fra il 2020 e il 2030, del 40% le
proprie emissioni. Successivamente ha incrementato questo obiettivo fino al
55% per poter raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Per
incentivare gli investimenti necessari al raggiungimento di questi obiettivi, ha
destinato un terzo del budget del Next Generation Eu.
La crisi energetica provocata dall’invasione russa in Ucraina ha indotto gli
Stati membri a prevedere una serie di misure a sostegno di imprese e
consumatori, incrementando anche in alcuni casi la produzione di energia
elettrica da centrali a carbone. Quest’anno la Commissione europea ha
presentato un nuovo piano (REPowerEU) “finalizzato al rapido
raggiungimento dell’indipendenza energetica da fonti fossili di provenienza
russa e al potenziamento delle fonti energetiche rinnovabili” confermando gli
obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo.
In Italia, gli obiettivi climatici sono indicati nel Piano nazionale integrato
energia e clima (Pniec), predisposto dal ministero dello Sviluppo Economico
(oggi ministero delle Imprese e del Made in Italy) e copre le seguenti
tematiche: efficienza energetica e fonti rinnovabili; riduzione delle emissioni;
mercato interno e interconnessioni; ricerca e innovazione. L’ultimo Piano è
stato pubblicato e inviato alla Commissione europea il 21 gennaio 2020. In
esso “vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica,
sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli
obiettivi in tema di sicurezza energetica, mercato unico dell’energia e
competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi
le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento”.
Il rapporto della Banca d’Italia, come detto, concentra la propria attenzione su
uno dei settori esposti come l’agricoltura, in quanto “le temperature e le
precipitazioni sono input diretti nel processo produttivo”. Questo comparto,
inoltre, è sottoposto a eventi estremi come le grandinate, ma “sono pochi gli
agricoltori italiani assicurati contro questo tipo di rischio, nonostante la
presenza di sussidi statali”.
L’agricoltura, come ovvio, non è l’unica attività economica ad essere
interessata dagli effetti del cambiamento climatico. Il loro impatto sulle attività
economiche è pervasivo: ne risentono la demografia e la performance delle
imprese a causa dell’aumento degli eventi idrogeologici (soprattutto alluvioni);
la diminuzione delle precipitazioni nevose sul turismo invernale; il mercato
immobiliare “con effetti legati al fatto che il caldo scoraggia la ricerca di case
da parte degli acquirenti”.
“Questo progetto di ricerca rappresenta un primo passo nel lavoro di analisi
che verrà condotto in Banca d’Italia nei prossimi anni sul temi del
cambiamento climatico”. In particolare sui costi e benefici della transizione
verde, anche alla luce della recente crisi energetica, aumentando la capacità
installata da fonti rinnovabili. “È importante – conclude lo studio – che le
misure che l’Europa e i governi nazionali hanno messo e metteranno in atto
per ridurre l’impatto della crisi energetica su famiglie e imprese non ostacolino
il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione di più lungo periodo”.

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