ANALISI E COMMENTI – Quanti abbagli sui carburanti. La verità di Tabarelli ….

Quanti abbagli sui carburanti. La verità
di Tabarelli


di Davide Tabarelli
Non è vero che i prezzi alla pompa sono esplosi e la speculazione non
c’entra un bel niente. Semmai godiamoci per il momento la debolezza
del barile e speriamo che continui ancora questa favorevole congiuntura
che sta lavorando a favore dell’economia europea. Davide Tabarelli,
presidente di Nomisma Energia, su diesel, benzina e l’illusione di un
futuro elettrificato a breve termine
I prezzi della benzina, e del più importante gasolio, sono bassi, altro che
fiammata al rialzo, sono a 1,81 per la benzina e verso 1,89 per il gasolio,
lontani dai 2,2 euro dello scorso marzo: è il contrario, stiamo godendo di una
sorta di profitto caduto dal cielo per i consumatori italiani, europei e americani.
Il prezzo del petrolio ci sta salvando, con prezzi scesi a 80 dollari, livelli
precedenti la guerra, e lontanissimi rispetto ai picchi di 120 dollari di inizio
marzo, quando venne introdotto lo sconto di 30,5 delle tasse. Ed è una
debolezza anche difficile da spiegare, perché è entrato in vigore dal 5
dicembre 2022 l’embargo petrolifero più grosso della storia, contro il secondo
produttore mondiale e il secondo esportatore mondiale di petrolio, la Russia.
Peraltro, comincia a mancare il gasolio autotrazione, il diesel, il prodotto più
importante per la mobilità in Europa, sia delle persone, che delle merci. La
Russia non manda più gasolio all’Europa da cui dipendeva per circa un quinto
dei suoi consumi e ora sta cercando di importare da altri paesi. Questo spiega
perché il prezzo della benzina oggi è sotto di 5-8 centesimi per litro,
nonostante le tasse sul gasolio siano inferiori.
Il segnale del gasolio è chiaro e indica che manca capacità di raffinazione in
Europa, che si affida sempre di più alle importazioni dei derivati del barile da
altre aree, infischiandosene di questa dipendenza nella speranza, meglio,
nell’illusione, che presto arrivi l’auto elettrica ad abbattere i consumi di
carburante. Positiva è la notizia della vendita della raffineria Isab di Priolo
dalla russa Lukoil ad un fondo di investimento con l’aiuto di Trafigura, uno dei
più grandi commercianti di petrolio del mondo.
Lo spettro di una sua chiusura è stato scongiurato, ma il pericolo della
carenza di capacità di raffinazione nel mondo, e in Europa, rimane. Tutti si
illudono che la transizione energetica fra qualche mese ci liberi dalla
dipendenza dello sporco e insanguinato petrolio, ma, purtroppo, le cose non
stanno così e presto ce ne accorgeremo. Godiamoci per il momento la
debolezza del barile e speriamo che continui ancora questa favorevole
congiuntura che sta lavorando a favore dell’economia europea e del nostro
nuovo governo.
Le sanzioni sul petrolio russo funzionano.
Ecco perché
di Matteo Turato
La Federazione Russa perde circa 170 milioni di dollari al giorno a causa
dell’effetto combinato delle sanzioni occidentali. Il risultato principale
del price cap sul greggio è quello di avere istituzionalizzato gli sconti di
Mosca che deve vendere il greggio a metà prezzo rispetto al Brent. Un
trend che proseguirà nel 2023 e potrebbe mettere in crisi lo sforzo
bellico in Ucraina
Le restrizioni sul greggio stanno costando al Cremlino 170 milioni di euro al
giorno, secondo quanto riporta Bloomberg. Secondo l’agenzia statunitense, la
pressione artificiale sul mercato degli idrocarburi (petrolio e gas) per ridurre le
risorse di Mosca sta funzionando per una serie di motivi, tra cui il price cap.
Il price cap è stata l’ultima misura, adottata il 5 dicembre 2022 da Ue, G7 e
Australia, e stabilisce un tetto massimo di prezzo sul greggio russo a 60 dollari
al barile. Su richiesta di alcuni stati europei, l’Ue ha inoltre deciso di rivedere il
limite di prezzo ogni due mesi, mantenendolo circa il 5% al di sotto del prezzo
medio di mercato, calcolato sulla base dei dati dell’Agenzia Internazionale
dell’Energia.
Nonostante sia ancora presto per determinare il reale impatto di questa
singola misura, gli analisti constatano un trend evidente, dato da una serie di
fattori. L’insieme delle sanzioni, tra cui appunto il limite di prezzo, costringono
la Russia a vendere petrolio con un forte sconto, limitandone il guadagno. Per
dare dei dati, attualmente il Brent si aggira intorno agli 80 dollari al barile,
mentre Ural viene quotato a circa $40. In secondo luogo, circa il 90% dei
servizi connessi al mercato del petrolio, come ad esempio gli essenziali servizi
assicurativi, viene erogato da Paesi del G7, ovvero quelli che implementano le
sanzioni. Inoltre, la lontananza geografica dei porti dei nuovi grandi acquirenti
asiatici (come Cina e India) fa aumentare i costi di trasporto, oltre alla leva
negoziale degli orientali. A dicembre, i volumi di esportazione verso Nuova
Delhi hanno superato il milione di barili al giorno.
Inoltre non si contano le navi cisterna che lasciano i porti russi senza una
chiara destinazione finale, assai probabilmente diretti in Cina o in Medio
Oriente. Si registra anche un aumento dei trasferimenti da nave a nave,
probabilmente per nascondere l’origine del greggio. Insomma, si fa sempre
più complesso per la Russia esportare la risorsa.
Secondo Politico, questi trend proseguiranno nel 2023. Martedì il ministro
delle finanze russo, Anton Siluanov, ha detto che le stime prevedono un deficit
di bilancio del 2% del Pil per il 2023. Ha poi aggiunto che questo non
impatterà sull’andamento della guerra, ma costringerà il governo a scegliere
quali risorse distrarre da quali settori per proseguire nello sforzo bellico.
Sostanzialmente, il Cremlino sta ipotecando il futuro economico russo per
finanziare la guerra di oggi.

FONTE – LE FORMICHE

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