Le sfide per il welfare aziendale nel 2023

Le sfide per il welfare aziendale nel 2023


Nonostante il dibattito scaturito dall’aumento dei fringe benefit, la Legge
di Bilancio 2023 non ha previsto novità in tema di welfare aziendale. La
normativa che regola beni e servizi per i dipendenti dovrebbe però
essere perfezionata, soprattutto per salvaguardare il valore sociale delle
misure. Ecco alcune proposte.


di Valentino Santoni
Il welfare aziendale è stato uno dei grandi assenti nella Legge di Bilancio.

Dopo l’aumento temporaneo dei fringe benefit 1 a 3.000 euro (di cui vi
abbiamo parlato nel dettaglio qui), e il dibattito che ne è seguito, ci si
aspettava un intervento da parte del Legislatore, anche e soprattutto per
dirimere una volta per tutte l’annosa questione della soglia esentasse dei
fringe. Non è andata così. E questo non è sicuramente d’aiuto per quelle
imprese decise ad investire nel welfare aziendale.
Proprio per questo appare prioritario che quest’anno siano previsti interventi
che rivedano la normativa sul tema. Di seguito capiamo perché
approfondendo i dati sul welfare aziendale, offrendo alcune riflessioni sui
fringe benefit e, infine, indicando alcuni interventi che potrebbero essere
assunti nel corso di quest’anno.
Welfare aziendale, un fenomeno sempre più diffuso
Come ha evidenziato anche Emmanuele Massagli, Presidente di ADAPT e di
AIWA, l’associazione italiana dei provider di welfare aziendale, la scelta di non
occuparsi della normativa dedicata alle misure e ai servizi che le
organizzazioni forniscono ai propri collaboratori già nella Legge di Bilancio è
difficile da comprendere data la sempre maggiore diffusione di questo
fenomeno.
Oggi il welfare di origine occupazionale è infatti presente in 10 Contratti
collettivi nazionali tra quelli sottoscritti dalle sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil. In
totale interessano 2.416.647 lavoratori, impiegati in 159.360 imprese. A livello
di contrattazione di secondo livello, invece, secondo le principali stime – come
quelle di OCSEL per Cisl e Fondazione di Vittorio per Cgil – il welfare
aziendale interessa circa 1 contratto aziendale e territoriale su 3.
Ulteriori dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati al
dicembre 2022 – riportati di recente anche da SlowNews per il progetto ABNE
– A Brave New Europe su Slow News – evidenziano che su 13.608 accordi
“premiali” attivi 8.261 prevedono misure di welfare aziendale (il 60,7%). I
lavoratori beneficiari di prestazioni di welfare attraverso i contratti di secondo
livello sono in totale 2.572.732 (figura 1).
È invece più complesso quantificare le formule di welfare aziendale diffuse
unilateralmente, cioè dalle aziende senza il coinvolgimento delle parti sociali.
Secondo le stime di AIWA, l’Associazione Italiana Welfare Aziendale,
sarebbero circa 10.000 le imprese che adottano questa modalità di fruizione
dei beni e servizi di welfare: i lavoratori interessati sarebbero dunque 2,2
milioni.
Dalle stesse ricerche emerge come la diffusione del welfare aziendale ricalchi
alcune delle linee di frattura economiche, sociali e territoriali che da decenni
caratterizzano il sistema produttivo e del mercato del lavoro italiano. Il welfare
tende infatti a concentrarsi nelle grandi imprese, nelle multinazionali e nelle
organizzazioni multi-localizzate, ad affermarsi con intensità variabile nei
diversi settori produttivi (a discapito dei comparti, come quello agricolo e
quello edile), nonché ad essere più diffuso nelle Regioni del Nord, rispetto a
quelle del Centro e, in particolar modo, del Sud (se si desidera approfondire
questo tema, si rimanda al Quinto Rapporto sul secondo welfare).
L’enfasi (eccessiva) sui fringe benefit
Guardando alla normativa, dopo anni di interventi importanti dal 2020 in poi il
Legislatore sembra aver ridotto il welfare aziendale ai soli fringe benefit. La
soglia di deducibilità dei fringe è stata infatti temporaneamente raddoppiata
(sempre con scadenza entro l’anno di riferimento) nel 2020 e nel 2021; e
anche nel 2022 è stata alzata prima a 600 euro e, successivamente, a 3.000
euro. In assenza tuttavia di interventi strutturali sulla materia nel suo
complesso.
Come spiegato qui, i fringe benefit possono essere un’opportunità per molte
imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale. Si tratta infatti di uno
strumento semplice, adottabile anche dalle piccole realtà con meno possibilità
organizzative richieste per lo sviluppo di piani strutturati. C’è però il rischio che
questi buoni siano utilizzati dalle aziende come una “compensazione” della
retribuzione, piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di
natura sociale. C’è infatti differenza nell’utilizzare la quota di fringe per
voucher spesa e carburante, o comunque altri benefit “accessori”, oppure per
servizi riguardanti la famiglia, la cura, l’assistenza e il work-life balance.
In questo senso, come evidenziato anche dall’Associazione dei provider
AIWA, l’aumento della soglia fino a 3.000 è stato un errore che rischia di
svilire gli interventi di natura sociale. In un’intervista a Secondo Welfare,
Massagli ha recentemente affermato: “dato che, in media, il budget welfare di
un lavoratore è di circa 800/1.000 euro i fringe benefit dovrebbero essere
portati ad un valore annuale massimo di 600 euro”.
Gli operatori del settore sottolineano la centralità del ruolo dei fringe benefit e
del welfare per imprese e lavoratori. A questo riguardo Fabrizio Ruggiero,
Amministratore Delegato di Edenred Italia, ci ha detto che ”il senso di
innalzare a 3000 euro la soglia dei fringe benefit nel 2022 è stato coerente
con l’eccezionalità del momento, con la necessità di offrire un aiuto immediato
alle famiglie, oggi bisogna pensare a medio-lungo termine superando la logica
emergenziale. Sappiamo quanto i fringe benefit contribuiscono in maniera
efficace ad aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e a offrire un supporto
economico per affrontare un ampio panorama di bisogni legati alla vita
quotidiana, soprattutto se inseriti in un contesto più ampio di welfare
aziendale”.
“Oggi il benessere in azienda ha assunto un ruolo rilevante, sono sempre di
più in Italia le organizzazioni virtuose che credono in questo strumento, sia
come asset strategico che come soluzione per favorire la conciliazione
vita-lavoro. Per il 2023, dopo il bonus benzina rinnovato a 200 euro on top, ci
aspettiamo l’innalzamento e la stabilizzazione a livello normativo della soglia
esentasse dei fringe benefit. Strumento che se valorizzato e utilizzato in
un’ottica integrata all’interno di piani articolati, è capace di svolgere un ruolo
sociale ancora più efficace”.
Quali soluzioni per rilanciare il welfare aziendale nel 2023?
Alla luce di quanto sopra riportato, di seguito avanziamo alcune idee per il
futuro del welfare aziendale italiano allo scopo di rendere queste misure e
servizi più accessibili a imprese e lavoratori/trici.
Innanzitutto ci sembra saggio strutturare definitivamente una nuova soglia dei
fringe benefit a 600 euro, in modo da aggiornare una normativa che risale al
1986 (!), che sia quindi coerente con l’aumento dell’inflazione dell’ultimo anno
e che, soprattutto, superi il ricorso a misure una tantum come avvenuto negli
ultimi anni. Inoltre si potrebbe facilitare l’utilizzo dei fringe per prestazioni e
misure sociali e sanitarie. Inserendo queste voci tra quelle che possono
usufruire del vantaggio fiscale, si potrebbe ad esempio promuovere dei
“voucher welfare” o delle “welfare card” destinati all’acquisto diretto ed
esclusivo di servizi sanitari, per i figli e la famiglia o per il sostegno a familiari
anziani e non autosufficienti.
In questa direzione sono nate già alcune esperienze. Proprio a seguito
dell’aumento dei fringe a 3.000 euro, la piattaforma welfareX® ha creato i
Social Fringe Benefit. Si tratta di buoni di diverso taglio – da 100, 200 e 500
euro – che danno la possibilità ai dipendenti delle aziende di acquistare dei
servizi gestiti esclusivamente dai consorzi e dalle cooperative sociali di cui si
avrà necessità.
Sarebbe poi necessario valorizzare percorsi destinati alla rilevazione e
all’ascolto dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici. Un fronte su cui da
qualche tempo sta lavorando anche Secondo Welfare, che con Walà ha
sviluppato WIN – What I Need, uno strumento pensato per raccogliere con
una metodologia innovativa le necessità di chi lavora. Si potrebbero prevedere
così degli sgravi fiscali per questi interventi e per strumenti e/o figure
professionali – come il Welfare Manager o l’Assistente sociale di fabbrica –
che puntano a “facilitare” l’attivazione di misure di welfare attente ai bisogni
dei lavoratori.
C’è poi la dimensione della flessibilità organizzativa e in primis lo smart
working. La pandemia ha dimostrato che molte organizzazioni e collaboratori
non intendono tornare indietro rispetto alla previsione di una maggiore
flessibilità dei tempi lavoratori. Per questo sarebbe auspicabile incentivare
quelle aziende che avviano nuove sperimentazioni in questa direzione, come
quella della settimana lavorativa di 4 giorni, collegandole esplicitamente a
piani di welfare.
Infine, si dovrebbero prevedere sgravi fiscali e incentivi per quelle imprese che
fanno welfare “in rete”, anche e soprattutto con il territorio. Facciamo
riferimento a quelle iniziative che – attraverso la contrattazione, la
collaborazione tra le parti sociali e la costituzione di reti di impresa o
multi-stakeholder – puntano a coinvolgere il tessuto economico locale, il Terzo
Settore e l’attore pubblico, allo scopo di creare servizi per i lavoratori, le loro
famiglie e, in alcuni casi, anche per il territorio.
Recentemente vi abbiamo raccontato un’esperienza parmense in cui una rete
di aziende del territorio 2 ha dato origine al progetto WellDone, allo scopo di
diffondere conoscenza e cultura proprio intorno al tema del welfare d’impresa.
L’obiettivo di questa iniziativa è proprio quello di “fare rete per fare welfare”: si
tratta perciò di uno di quegli interventi che andrebbero sostenuti e incentivati a
livello economico e fiscale.
Attraverso questo welfare aziendale territoriale (o “a filiera corta”) si può infatti
facilitare la diffusione delle pratiche di welfare nelle organizzazioni che, per
dimensioni o per settore di appartenenza, hanno meno opportunità. Inoltre si
possono coinvolgere in modi diversi gli stakeholder del territorio, generando
così un circolo virtuoso per tutto il tessuto economico e sociale locale.
Vedremo se e come nei prossimi mesi il Legislatore saprà cogliere queste
necessità, che appaiono non più rimandabili alla luce dei cambiamenti
avvenuti negli ultimi anni e alle richieste che arrivano dal mondo produttivo. E
non solo.

FONTE – PERCORSI DI SECONDO WELFARE

www.secondowelfare.it

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