ASSOCIAZIONI SPORTIVE – Il “decalogo” sulle associazione sportive dilettantistiche

Il “decalogo” sulle associazione sportive
dilettantistiche


di Gianfranco Antico – ASSOCIAZIONI
La Corte di Cassazione, tramite una recente ordinanza, ha fornito un
vero e proprio decalogo sulle associazioni sportive dilettantistiche
È un vero e proprio decalogo quello fornito dalla Corte di Cassazione, con
l’ordinanza numero 6361 del 2 marzo 2023, in materia di associazioni sportive
dilettantistiche.
Com’è noto, il mondo dello sport ha trovato nell’articolo 90, della Legge
numero 289/2002 lo spazio fiscale entro cui muoversi, così che le associazioni
e le società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, in possesso dei requisiti
previsti, possono essere iscritte nell’apposito Registro istituito presso il CONI,
e detta iscrizione permette di usufruire delle disposizioni fiscali di cui al citato
articolo 90, della Legge 289/2002.
In particolare, il comma 17 stabilisce che le associazioni e le società sportive
dilettantistiche senza fini di lucro devono indicare nella denominazione sociale
la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e
possono assumere una delle seguenti forme:
a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli artt.36
e seguenti del codice civile;
b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del
d.p.r. n. 361 del 10 febbraio 2000;
c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni
vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.
Sul punto, ricordiamo che l’Amministrazione finanziaria, con la circolare
numero 18/E del 1° agosto 2018, ha fornito una serie di utili chiarimenti.
Associazioni sportive dilettantistiche: i principi oggetto della pronuncia
n. 6361/2023. Un vero e proprio decalogo in materia
Indichiamo i diversi principi emessi dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n.
6361/2023 – che richiama precedenti pronunce – che costituiscono una guida
in materia:
● ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui all’art. 1 della
legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell’associazione sportiva
dilettantistica quale organismo senza fine di lucro da intendersi, in
aderenza alla nozione eurounitaria, quello il cui atto costitutivo o statuto
escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati,
trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell’art. 4, comma 7,
del d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, nell’art. 111, comma
4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del d.P.R. n. 917 del 1986. Alla
formale conformità delle regole associative al dettato legislativo si
aggiunge, poi, l’esigenza di una verifica in concreto sull’attività svolta al
fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente rispettoso
degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f) degli artt.
148, comma 8, del vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del
D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di
un’attività commerciale svolta in forma associata» (cfr. Cass., 26 ottobre
2021, n. 30008);
● se è vero che l’applicabilità della disposizione è subordinata,
innanzitutto, ad un requisito formale e, cioè, all’affiliazione
dell’associazione alle federazioni sportive nazionali o a enti nazionali di
promozione sportiva riconosciuti, ai fini del riconoscimento delle
agevolazioni fiscali (con riguardo alle imposte sul valore aggiunto e sui
redditi), “tuttavia il possesso del requisito formale non è sufficiente,
essendo necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale,
costituito dalla effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge”. In
particolare, le esenzioni d’imposta a favore delle associazioni non
lucrative – e, specificamente, delle associazioni sportive dilettantistiche
– “dipendono non dalla veste giuridica assunta dall’associazione (o,
quantomeno, non soltanto da quella), bensì dall’effettivo esercizio di
un’attività senza fine di lucro, sicché l’agevolazione fiscale (ma anche
quella contributiva) non spetta in base al solo dato formale (estrinseco e
neutrale) dell’affiliazione al CONI, bensì per l’effettivo svolgimento
dell’attività considerata, il cui onere probatorio incombe sul
contribuente” (Cass. n. 30008 del 2021. Così anche Cass., 30 aprile
2018, n. 10393; Cass., 30 aprile 2019, n. 11492; Cass., 11 novembre
2020, n. 25353; Cass., 24 dicembre 2020, n. 29500);
● gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato
previsto dall’art. 111 del d.P.R. n. 917 del 1986, in materia di IRPEG, e
dall’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA – come modificati,
con evidente finalità antielusiva, dall’art. 5, del decreto legislativo n. 460
del 1997 – a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi
e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’ art. 5
del decreto legislativo n. 460 citato (art. 111, comma 4 quinquies), ma
anche dell’accertamento, che va effettuato dal giudice di merito con
congrua motivazione, che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno
rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Cass. 30
maggio 2012, n. 8623; Cass., 12 maggio 2020, n. 11456);
● sotto lo specifico profilo dell’onere probatorio, gli enti di tipo associativo
non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale (come si
evince dall’art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986), potendo
anche le associazioni senza fini di lucro svolgere, di fatto, attività a
carattere commerciale. Il citato art. 111, comma 1, in forza del quale le
attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le
quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo,
costituisce deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del
medesimo d.P.R., secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in
denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche.
Ne discende, pertanto, che l’onere di provare i presupposti di fatto che
giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia
l’associazione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 cod. civ.
(Cass., 12 febbraio 2013, n. 3360; Cass., 25 marzo 2015, n. 5931;
Cass., 4 ottobre 2017, n. 23167)”;
● “l’esenzione d’imposta prevista, dall’art. 90, comma 11 bis, della l. n.
289 del 2002, in favore delle associazioni sportive dilettantistiche
costituite in società di capitali senza fine di lucro, per la pubblicità
eseguita negli impianti con capienza inferiore ai tremila posti, riguarda
unicamente la propaganda della propria attività effettuata in modo
diretto dai soggetti esonerati al fine di ampliare la base dei propri
associati, non trovando invece applicazione per la pubblicità realizzata
da terzi su spazi messi a loro disposizione, a titolo oneroso, da siffatte
società sportive” (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2184).
Peretano, concludono i giudici di Piazza Cavour nell’ordinanza numero
6361/2023:
“l’accertamento sulla spettanza di tali agevolazioni deve essere compiuto,
oltre che sul piano formale, anche in concreto, con onere probatorio a carico
del contribuente, esaminando le attività sportive effettivamente praticate, le
modalità con cui le prestazioni dell’ente sono erogate e l’effettiva sussistenza
delle caratteristiche soggettive dell’associazione sportiva”
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione
dei principi esposti
“poiché ha riconosciuto la natura non commerciale dell’ente – e,
conseguentemente, il regime di agevolazione tributaria previsto per gli enti
non aventi natura commerciale – in ragione del solo dato formale, peraltro non
valutato in tutti i suoi aspetti, rappresentato dall’essere una associazione
sportiva dilettantistica, in possesso di iscrizione ad una federazione sportiva e
di uno statuto, non esaminando minimamente i caratteri dell’attività dell’ente”
La sentenza impugnata, dunque
per riconoscere l’applicabilità delle agevolazioni previste dalla legge, non ha
valutato:
● da un lato che tutti i requisiti formali fossero stati rispettati (come
l’assenza nella denominazione sociale del riferimento alla associazione
sportiva dilettantistica);
● e dall’altro ha omesso completamente di verificare la natura (in tesi, non
lucrativa) dell’attività in concreto esercitata e ciò, pur avendo l’Ufficio
rilevato sia l’assenza delle prescrizioni formali dettate dall’art. 148,
comma 8, del d.P.R. n. 917/86 e dall’art. 90 della legge n. 289/2002, sia
che l’attività sportiva era stata svolta con l’ingaggio di piloti non soci,
anche al fine di ottenere risultati migliori per attirare gli sponsor
Conseguentemente:
i giudici di secondo grado hanno omesso di considerare gli elementi addotti
dall’Ufficio a sostegno della natura non commerciale dell’ente, individuati,
principalmente
● sotto il profilo formale, nel fatto che
○ l’associazione non avesse una delle forme giuridiche prescritte
dall’art. 90, comma 17, della legge 289/2002;
○ non recasse nella propria denominazione l’indicazione di
associazione sportiva dilettantistica;
○ fosse affiliata al CONI solo dal 2011;
○ che il rendiconto fosse impreciso e stringato e la vita
assembleare non fosse reale ed ispirata a criteri di democraticità
poiché le assemblee non venivano convocate secondo le
prescrizioni statutarie.
● sotto il profilo sostanziale che l’attività svolta in concreto si estrinsecava
nella partecipazione a rally con piloti, non soci, già affermati, al fine di
acquisire sponsorizzazioni
https://youtu.be/FvbSu0y0UG0
Che cos’è una ASD, Associazione Sportiva Dilettantistica?
fonte: F INFORMAZIONE FISCALE

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