GIOVANI E SOCIETA’ – Ok boomer

Ok boomer


di Ester Annetta
L’espressione è nata all’incirca cinque anni fa, quando comparve per la prima
volta sui social (ovviamente!) come meme, utilizzata da parte dei giovani della
cosiddetta “Generazione Z “ (ossia i nati tra la seconda metà degli anni ’90 e
la fine del 2000) quasi come stroncatura nei confronti dei “baby boomer”, i figli
del boom economico, datati tra la metà degli anni ‘40 e ’60. Ha, difatti, una
valenza spregiativa, una sorta di esortazione – mossa dai più giovani ai loro
predecessori generazionali – che suona un po’ come: “va bene, avete detto la
vostra, perciò ora mettetevi da parte”. Una rivendicazione, dunque, di tempo,
spazio e protagonismo tendente a prendere le distanze da un passato ritenuto
perlopiù responsabile dei guasti attuali.
Ho compiuto una riflessione sul tema dopo essermi imbattuta in una scritta –
di quelle fatte con una bomboletta spray – comparsa di recente sul muro di un
palazzo nei pressi di casa mia: “a morte i boomer”, dice, con caratteri cubitali
e senza nemmeno un punto esclamativo terminale ad enfatizzarla, come se
fosse una formula certa non necessitante di alcun vocativo.
Mi ha talmente colpito che l’ho fotografata e pubblicata sulla mia pagina
facebook accompagnata dal semplice interrogativo “Ma perché?”. E le
risposte non sono tardate ad arrivare.
Ho così scoperto che l’accusa più recente che viene imputata a noi boomer è
quella di essere i responsabili diretti di quella crisi finanziaria che, a partire del
2008, non si è più conclusa e pare, anzi, destinata ad avere il suo
compimento tra pochi anni, quando a fronte di una drastica riduzione della
popolazione più giovane e, soprattutto, dell’occupazione, ci sarà un
pensionamento di massa dei “più vecchi” cui difficilmente si potrà far fronte
con le risorse contributive di cui allora si potrà disporre.
Ma non è solo questo.
Di colpe, a quelli della mia generazione e più, ne vengono addebitate molte
altre, a cominciare dal biasimato modello che abbiamo costruito e trasmesso
a figli e nipoti. Siamo stati (e siamo tuttora, giacché presenti in misura
esponenziale), difatti, coloro che sul boom economico hanno costruito tutta
una serie di privilegi e di principi ideologici – la casa di proprietà, il posto fisso,
la sequenza laurea/lavoro/casa/matrimonio/figli – fondati su uno schema
immobilistico che oggi non risulta più adatto ai continui sconvolgimenti del
presente, che è quello di un mondo fatto di crisi d’ogni natura (dalle guerre,
alla pandemia, al clima) ma anche aperto a nuove prospettive del tutto
inconciliabili con il paternalismo, il sessismo ed il razzismo che ci
connoterebbe.
Ed è anzi proprio questa la fatica che le generazioni nuove lamentano di
dover essere chiamati a sostenere: quella di scardinare strutture retrograde e
non più funzionali su cui sono state allevate e a causa dei quali risulta
altamente difficile tanto l’accettare che dal dominio della sicurezza e della
stabilità si è passati a quello della precarietà (del lavoro, soprattutto) quanto il
facilitare l’attecchimento dei nuovi valori richiesti da un contesto in cui non si
può prescindere dalla parità di genere, di sesso, di opportunità.
Si tratta di argomenti certamente non discutibili che, a ben vedere e con una
buona dose di obiettività legittimano e rendono condivisibile la protesta della
Generazione Z, dei Millennial e di tutte le nuove che stanno crescendo; a
patto, però, che altrettanto non si trascuri una considerazione fondamentale,
che è poi alla base di ogni passaggio storico prima ancora che generazionale.
Intendo dire che, al di là della questione pensionistica che rappresenta il lato
“economico” (per così dire) della questione e che meriterebbe una disamina
ben più complessa per le sue intuibili implicazioni, se ci si sofferma soltanto
sulla necessità del superamento di un sistema valoriale basato su
discriminazioni, disuguaglianze, privilegi, violenza, etnocentrismo e contrasto
a tutto ciò che risulta essere contrario all’antiquato modello boomer, viene da
se’ che la “battaglia generazionale” in corso è legittimamente sostenibile. Ciò
non toglie, tuttavia, che è errata ogni posizione rigorosa e dogmatica che
condanni indistintamente e drasticamente una generazione che ha comunque
fornito insegnamenti, anche (ma non soltanto) attraverso i suoi presunti errori;
come pure, etichettarla negativamente con un marchio – boomer –
trasformato in sinonimo di disprezzo implicherebbe assumere un
atteggiamento discriminatorio altrettanto pari a quello che si intende
contestare.
La realtà è complessa e certamente non giudicabile col semplicistico criterio
binario del mi piace/non mi piace come accade sui social; è dunque
imprudente – e anche stupido – pensare di attribuire esclusivamente alla
generazione precedente la colpa dei mali che ricadono su quelle successive,
come se non si trattasse, invece, di un naturale e necessario processo
evolutivo che, da che mondo è mondo, ha sempre rappresentato il cardine ed
il motore di ogni cambiamento.
Ogni tappa, ogni progresso dell’umanità è figlia del suo passato, dei suoi
insegnamenti e dei suoi errori, e i mutamenti pretesi dalla modernità sono essi
stessi il frutto dell’intreccio e della sovrapposizione di tessere senza le quali
nessun nuovo modello si sarebbe potuto disegnare.
Perciò, va bene “ok boomer”, perché abbiamo fatto il nostro tempo; ma anche
“grazie” piuttosto che “a morte”, giacché siamo stati una premessa
indispensabile del nuovo capitolo di storia e civiltà che voi tutte, nuove
generazioni, state scrivendo oggi ma che, a vostra volta, vi consegnerà come
retrogradi, al pari di noi, a quelle future.

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