I cantieri del Pnrr sono una missione impossibile
per l’Italia. E senza l’edilizia il Pil non tornerà a
crescere |
L’analisi di Edoardo Bianchi
Nelle ultime settimane si sono registrati diversi segnali di cui è doveroso
tenere conto nella valutazione più complessiva dello stato di salute del Paese
e delle aspettative, in termini di contributi alla crescita, da parte del comparto
delle opere di genio civile, dell’edilizia e delle infrastrutture per intenderci.
Il PNRR, dopo l’ottima sintesi operata dal Ministro Fitto, ha portato a casa
l’incasso della terza rata mentre la riscossione della quarta dovrebbe avvenire
per fine anno. Al contempo abbiamo però cominciato a ragionare sugli
obiettivi e riforme di competenza della quinta rata. È bene essere chiari, il
corpo a corpo con la UE costituirà una peculiarità di ogni rata in futura
scadenza, sperando che al 31.12.26 i danari siano effettivamente atterrati e le
riforme realmente attuate.
Per chi vive in cantiere un dato, quanto alle risorse, emerge
incontrovertibile: bene che vada (con i ritmi attuali) meno del 50% dei
cantieri troverà completamento entro il 2026. Lo testimoniano i SAL,
unico vero termometro della spesa. Le risorse vengono utilizzate a
fronte di lavori che procedono, quindi contabilizzati, non di certo con le
pubblicazioni dei bandi o con le aggiudicazioni o con le consegne dei
lavori. Pur traslando tutti i progetti immaginabili per ora, al biennio
2025/2026 e successivamente, di certo, al 2026 vi sono delle carenze
endemiche: troppo tempo si è sin qui perso, che non consentirà di fare
atterrare tutte le risorse entro il 2026.
Le stazioni appaltanti pubbliche continuano ad essere sottorganico e non vi è
settimana che non registri una promessa circa l’oramai prossimo concorso
pubblico per assumere personale che verrà stabilizzato nel breve: sono tre
anni che sentiamo gli stessi annunci. Non dotare la macchina pubblica di
tecnici/personale sanitario/docenti e così via, determina un danno al Paese,
non ad altri. Nel frattempo, il tempo infruttuosamente trascorre ed il 2026 si
avvicina. Nel periodo post covid, soprattutto post crisi ucraina, si è registrata
una impennata vertiginosa del costo di acquisto dei prodotti da impiegare
(anche) nel ciclo della edilizia.
Una prima risposta pratica la si ebbe grazie al DL Sostegni bis e poi con il DL
Aiuti la cui applicazione concreta è stata/è di una farraginosità e lunghezza
esasperante; tanto è vero che molte Imprese devono ancora vedersi
riconosciuti i maggiori oneri afferenti spese ed esborsi anticipati nel secondo
semestre 2021 e nel primo e secondo semestre 2022. Il fenomeno, per i lavori
il cui bando è stato pubblicato ante luglio 2023, è di una rilevanza unica e
cuba oltre € 1,6 miliardi. Con il DL Asset si fornita una risposta per circa € 1,1
miliardi, ma solo per tre cantieri: e per il resto?
Senza il rinnovo del DL Aiuti le opere già avviate si fermeranno
definitivamente e, mentre il tempo trascorre infruttuosamente, il 2026 si
avvicina. Non adeguare i prezzari e reperire le relative risorse determina un
danno al Paese, non ad altri. Ricordiamoci sempre che traslare investimenti a
date future, mentre da una parte evita che le risorse vadano perse dall’altra
però determina una perdita di crescita del PIL nell’anno in cui l’investimento
era previsto; è la classica coperta corta. La traslazione non può costituire un
fondamentale di politica di bilancio, ma solo l’apposizione di una pezza per
tamponare una emergenza.
Nella NADEF 2023 i flussi degli investimenti ex PNRR vengono ridotti sia
nel 2023 che nel 2024 mentre vengono maggiormente concentrati nel
2025/2026. Nella NADEF 2023 le previsioni di spesa, rispetto a quelle
previste nel DEF di aprile 2023, vengono ridotte del 12% (circa € 8 mld).
Analogo discorso di riduzione degli investimenti si registrò nella NADEF
2022, aggiornandoli da 25,5 mld (previsti nel DEF di aprile 2022) a 9,5
mld. Anche in quella occasione si spinsero gli investimenti con una
maggior concentrazione nel periodo mancante ossia 2024/2026.
Per sopperire ai mancati incassi delle risorse del PNRR lo Stato dovrà
emettere nuovi titoli di stato, ed il differenziale tra gli interessi pagati al
mercato e quelli riconosciuti alla Europa incide in ragione di circa € 210 milioni
per il solo ritardo nell’incasso della terza e quarta rata. Quanto accaduto, solo
con riferimento al traslato incasso della terza e quarta rata, non fa altro che
confermare il vecchio adagio dell’esame di macroeconomia che “il tempo è
danaro ed il ritardo è debito”. Ogni qual volta vi è una scadenza cognita urbi et
orbi, che non si può disattendere, i nodi dei ritardi vengono al pettine. Alcune
opere previste in eventi quali le Olimpiadi invernali o nel Fondo
Complementare sembrano scontare ritardi rilevanti senza poter addebitare
alcunché alla Europa.
È recente la notizia sulla pista di bob di Cortina o sulla diversa dislocazione ed
utilizzo di altre infrastrutture. Quanto al Fondo Complementare per lo meno il
24% delle autorizzazioni di spesa è in ritardo ed il divario tra spesa autorizzata
e spesa effettuata sta diventando sempre più rilevante. Sono risorse, giova
ricordarlo, finalizzate da un lato ad aumentare le dotazioni a disposizione di
alcune misure del piano e dall’altro per finanziare nuovi investimenti,
indipendenti dall’agenda europea. Le misure previste dal FC sono 30 in totale.
Sei misure fanno riferimento a interventi già previsti dal PNRR e
rappresentano quindi un’integrazione delle risorse stanziate mentre 24
misure, invece, rappresentano interventi esclusivi non previsti dal piano.
Il 39% degli obiettivi del II trimestre 2023 non risulta conseguito. Anche
qui si registra la volontà di far slittare le scadenze più avanti, a un
trimestre successivo rispetto a quello inizialmente previsto, in modo da
guadagnare tempo rendendo meno evidenti i ritardi. Il vulnus è sempre
lo stesso. Mentre nei primi anni vi erano scadenze più semplici da
completare quando invece le milestone ed i target hanno riguardato la
spesa effettiva delle risorse per realizzare interventi concreti, lavori,
opere, siamo andati in crisi. Le Olimpiadi, il PNRR, il Fondo
Complementare, il Giubileo rappresentano solo la punta dell’iceberg ma
le medesime problematiche si riscontrano in tutte le opere, anche e
soprattutto in quelle che non registrano un impatto mediatico rilevante.
Anche la recente manovra di bilancio, così come quelle che la hanno
preceduta, lo certifica in maniera palmare: dobbiamo far crescere il PIL perché
solo così sarà possibile riportare progressivamente il nostro debito a livelli
accettabili. Serviranno anni. Stiamo ragionando, in mezzo a mille difficoltà, di
un aumento del PIL 2023 per la NADEF in ragione dell’0,8% mentre per
Bankitalia ed il Fondo Monetario Internazionale sarà dello 0,7%. Analogo
discorso per il PIL 2024 che nella NADEF crescerà in ragione dell’1,2%
mentre per Bankitalia dello 0,8%. Parliamo sempre in termini di pochi
decimali, anche qualora si avverassero integralmente le ottimistiche stime di
ogni previsione.
Con questi numeri del PIL il Paese non va da nessuna parte, è bene
dirselo. Tanto è vero che nel Documento Programmatico di bilancio
inviato alla Commissione Europea dai governi della Eurozona la crescita
dell’Italia sarà la più bassa di tutta l’Europa; con l’aggravante che
nessun paese ha il nostro maxidebito pubblico. La sostenibilità del
nostro debito pubblico, infatti, richiede che nei prossimi anni l’avanzo
primario cresca progressivamente fino a raggiungere un livello di oltre il
3% di PIL. Perché il PIL cresca strutturalmente servono che le riforme
abbiano attuazione ma, a un ragionato esame, non può mancare il
contributo della edilizia.
Perché questo possa avvenire sono necessari investimenti prioritari nella
manutenzione del territorio e decoro delle città; una rigorosa normativa sulla
rigenerazione urbana e sulla riqualificazione edilizia, sotto varie
prospettazioni, non sono rimandabili oltre. Non intervenire concretamene su
questi temi determina un danno al Paese, non ad altri. Correre appresso a
terminologie altisonanti ha determinato un deterioramento cognitivo di
probabile genesi degenerativa, in costante stato di ingravescenza,
contribuendo a portare il Paese sull’orlo del baratro non affrontando i problemi
ma correndo appresso, illusoriamente, ai massimi sistemi.