Industria 4.0, Calabrò (Mise): “Il Piano ha funzionato, ora apriamo un tavolo per i prossimi anni”

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Industria 4.0, Calabrò (Mise): “Il Piano ha
funzionato, ora apriamo un tavolo per i
prossimi anni”

di Beatrice Elerdini

A distanza di 5 anni dalla sua nascita in Italia, è tempo di bilanci per il piano
Industria 4.0, ma anche di considerazioni sul futuro della misura, a partire
dalle modifiche inserite nella nuova bozza della legge di bilancio.
“Il piano ha avuto il merito di stimolare gli investimenti, all’epoca del 2017,
completamente fermi, e di attuare un’autentica riforma culturale sui temi
chiave dell’innovazione e della digitalizzazione”, spiega Marco Calabrò,
dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico: una figura da sempre molto
attenta all’interlocuzione con le imprese.
“Gli incentivi previsti dal piano 4.0 non hanno tuttavia avuto una distribuzione
capillare nel mondo delle imprese: nei primi anni sono stati sfruttati
tendenzialmente dalle aziende che erano già pronte, quelle di dimensioni più
grandi, e solo ora sta iniziando a raggiungere il tessuto delle PMI”.
La legge di bilancio ha stanziato le risorse per una proroga del piano al
triennio 2023-2025, prevedendo dei tagli che non soddisfano tutti.
“Ci sono margini di miglioramento“, dice Calabrò. Che però spiega: “La
sessione di bilancio è una stagione convulsa e non è certamente il momento
ideale per fare riflessioni del genere. Credo che con l’anno nuovo sarebbe
importante intavolare un confronto per definire il futuro del piano Industria
4.0 dal 2023 in avanti – perché il tempo c’è -, con l’obiettivo di ricreare lo
spirito e le finalità che c’erano all’epoca del primo, nel 2016″. Attenzione andrà
posta anche alle nuove esigenze, una su tutte la sostenibilità, un driver
importante su cui focalizzarsi.
Dando uno sguardo alla nuova legge di bilancio, si intravvede come punto
positivo, la volontà, non scontata, di dare continuità alla misura (fino al 2025
per i beni strumentali materiali e immateriali e fino al 2031 per le attività di
ricerca e sviluppo, mentre per quelle di innovazione e design il rinnovo vale
solo fino al 2025). La vera nota negativa è invece la sensibile riduzione di
tutte le aliquote.
Vediamo dunque nel dettaglio tutti i punti affrontati da Marco Calabrò, nel
corso del suo intervento in occasione della Tavola Rotonda “PNRR,
digitalizzazione, sostenibilità”, promossa dal Gruppo Software di ANIE
Automazione, con il supporto organizzativo di Messe Frankfurt Italia, tenutasi
presso la sede del Competence Center Made a Milano
I meriti del piano Industria 4.0
Nel settembre 2016, lo scenario era quello di una sorta di “sciopero degli
investimenti”, un evidente deficit di produttività delle imprese italiane con
un’obsolescenza del parco macchine senza precedenti (scenario frutto di
un’indagine della Fondazione Ucimu).
Anche le aziende che investivano non coglievano appieno le opportunità
offerte dalla quarta rivoluzione industriale. Nel resto del mondo invece, si
parlava già da anni di Industria 4.0.
“Il primo piano ha comunque avuto il grande merito di creare nelle imprese la
grande consapevolezza che per poter essere competitivi, le uniche vie da
percorrere sono quelle dell’innovazione e della digitalizzazione”.
“È stata una grande operazione culturale, oggi infatti possiamo dire che
Industria 4.0 fa parte del bagaglio comune di conoscenze che riguarda tutte le
imprese italiane”.
Il secondo merito è stato quello di averlo fatto all’interno di un approccio di
sistema. Il piano infatti, non può e non deve essere considerato come una
sommatoria di agevolazioni fiscali, non può essere ridotto al mero acquisto di
beni strumentali.
Se considerato semplicisticamente in questi termini perderebbe quel carattere
di novità che lo ha reso un vero perno della Politica Industriale del nostro
Paese.
“Ritengo dunque, si possa guardare con soddisfazione ai risultati raggiunti nel
corso di questi 5 anni. Anche i numeri danno un riscontro positivo”.
“In concreto abbiamo quasi un milione di soggetti beneficiari dell’ex
superammortamento e circa 40 mila imprese che hanno beneficiato degli
incentivi per i beni 4.0, materiali e immateriali; numeri analoghi sono per le
agevolazioni destinate alle attività di ricerca e sviluppo. L’adesione delle
imprese risente dei diversi livelli di complessità delle misure adottate”.
È importante evidenziare che la stragrande maggioranza delle società (circa
l’85% delle aziende) che hanno utilizzato l’iperammortamento nel 2017 e 2018
non avevano mai effettuato investimenti in tecnologie 4.0 prima
dell’introduzione del piano. “Un effetto addizionale che ci conforta nel dare
continuità alla misura”.
Non mancano tuttavia le zone d’ombra. Una recente indagine ha rivelato che
è ancora elevata la percentuale di piccole imprese che non conoscono
nemmeno le misure del piano. Tra queste esiste una quota, se pur minoritaria,
di aziende che conoscono tali misure, ma non intendono utilizzarle. “Ciò
dimostra che abbiamo la necessità di continuare in questa operazione di
divulgazione”.
Esistono poi squilibri territoriali: si registra un maggior utilizzo delle misure
nelle regioni del Nord, scarso impiego al Sud. “Ci sono dunque, ampi margini
di miglioramento del piano”.
La nuova legge di bilancio dà continuità al piano 4.0
Riguardo al disegno di legge di bilancio, va innanzitutto vista con positività
la volontà, non certo scontata, di dare continuità al piano. Calabrò ricorda
che “la prima edizione aveva l’obiettivo con una misura una tantum, di
riattivare il ciclo degli investimenti”.
Questo approccio è stato in parte superato con le proroghe annuali. Poi, per la
prima volta con la legge di Bilancio 2020, si è scelto di dare continuità per un
periodo più lungo, offrendo alle imprese la possibilità di programmare per
tempo i propri investimenti.
Altro aspetto positivo – rileva Calabrò – è che la proroga avviene all’interno di
una schema d’intervento che resta invariato e coerente con il piano del
2017.
“Si tratta di agevolazioni fiscali che si basano su un meccanismo di
incentivazione automatica con procedura standard e semplificata, non
condizionata dai tempi di risposta della Pubblica Amministrazione. All’epoca
questo era un approccio del tutto innovativo per il Ministero dello sviluppo
economico e che in questi anni ha trovato grande favore da parte delle
imprese, per questo è stato confermato”.
Le nuove aliquote dimezzate
La vera nota dolente del nuovo piano, come accennato in apertura, è che
riduce tutte le aliquote su tutte le misure del piano 4.0.
Nel testo del disegno di legge di bilancio il credito d’imposta per
investimenti in beni strumentali materiali 4.0, a partire dall’1 gennaio 2023,
viene sostanzialmente dimezzato.
Nel dettaglio, per l’acquisto di beni materiali, le aliquote 2021 prevedono:
● 50% per investimenti fino a 2,5 milioni
● 30% per investimenti da 2,5 a 10 milioni
● 10% per investimenti da 10 a 20 milioni
Nel 2022 queste aliquote diminuiranno, come già previsto dalla legge di
bilancio 2021, come segue:
● 40% per investimenti fino a 2,5 milioni
● 20% per investimenti da 2,5 a 10 milioni
● 10% per investimenti da 10 a 20 milioni
Il testo della nuova bozza prevede il rinnovo della misura per ulteriori tre anni
e un’ulteriore diminuzione a partire dal gennaio 2023 e fino a tutto il dicembre
2025, con consegna allungata fino al giugno 2026, secondo questo schema:
● 20% per investimenti fino a 2,5 milioni
● 10% per investimenti da 2,5 a 10 milioni
● 5% per investimenti da 10 a 20 milioni
Décalage anche per i beni immateriali. Per il 2021 e il 2022 l’aliquota è
fissata al 20%. Il disegno di legge di bilancio 2022 prevede una proroga
ancora al 20% per il 2023 e poi al 15% per il 2024 e al 10% per il 2025.
I beni strumentali non 4.0 (ex superammortamento) non vedono invece
rinnovarsi l’incentivo: sono quindi incentivati quest’anno al 10% e per il 2022
al 6%, sia per i beni materiali che immateriali.
Il credito d’imposta per le attività di ricerca, sviluppo, innovazione e design
vede invece un rinnovo differenziato che in parte arriva fino al 2031. Ma se
per il 2022 l’impalcatura viene rinnovata con le medesime aliquote attuali, per
gli anni a seguire c’è una netta riduzione.
Per il 2022 dunque le aliquote e i tetti sono i seguenti:
● 20% per attività di ricerca e sviluppo con massimale di 4 milioni
● 10% per attività di innovazione o per attività di design e ideazione
estetica con massimale di 2 milioni
● 15% per attività di innovazione con finalità orientate a un obiettivo di
transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0 con massimale di 2
milioni
Poi inizia il décalage. Nel caso delle attività di ricerca e sviluppo si va avanti
fino al 2031; nel caso delle attività di innovazione e design fino al 2025, con le
seguenti aliquote:
● 10% per attività di ricerca e sviluppo con massimale di 5 milioni
● 5% per attività di innovazione o per attività di design e ideazione
estetica con massimale di 2 milioni
● 10% per attività di innovazione con finalità orientate a un obiettivo di
transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0 con massimale di 4
milioni.
“Ci sono margini di miglioramento”
“C’è comunque spazio per qualche ripensamento, perché nelle aliquote
proposte nel nuovo disegno di legge si è un po’ perso l’equilibrio generale
della misura”, commenta Calabrò. “Tali eventuali correttivi andranno fatti, in
ogni caso, all’interno di una dotazione finanziaria che non può essere
equivalente a quella del piano 2021-2022 che, lo ricordiamo, aveva allocato
24 miliardi soltanto per il piano 4.0 con uno sforzo senza precedenti anche
grazie alle risorse del Next Generation EU”, spiega Calabrò.
Non sono esclusi dunque margini di miglioramento, al fine di tenere conto
degli obiettivi prioritari della Politica Industriale, nel tentativo di riequilibrare le
aliquote e favorire quelle leve più efficaci per assicurare il salto tecnologico
alle imprese.
Lo dimostra anche il fatto che, al momento, non è prevista una proroga del
credito per la Formazione 4.0, punto su cui occorrerà lavorare in maniera
più approfondita, soprattutto in considerazione del fatto che la stima del
fabbisogno di personale con elevate capacità digitale, nel quinquennio,
2021-2025, è di oltre i 2 milioni, oltre la metà del bisogno complessivo di
personale. Ma di questo, dicevamo, è probabile si torni a parlare nel 2022.

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