[L’analisi] Scatta la ripresa delle estrazioni del
gas. L’Italia pronta al raddoppio. Ecco il piano. Ma
gli ambientalisti protestano
«Regole certe dopo anni di attesa». Così il Mite sottolinea come il Pitesai, il
Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, sia stato
«fortemente voluto dal ministro della Transizione Ecologica Cingolani per
sanare il ritardo della sua pubblicazione», anche se l’idea di non piace affatto
al mondo ambientalista, che è sceso in piazza in 44 città con manifestazioni
“no gas”. Con la pubblicazione del piano si compie un primo passo verso
quell’incremento della produzione del gas italiano a cui il governo sta
guardando come una delle armi per contrastare il caro energia.
Complessivamente nel 2021 l’Italia ha prodotto circa 3,2 miliardi di metri cubi
di gas e ne ha usati poco più di 72. La ripresa delle estrazioni potrebbe
portare ad un raddoppio della produzione italiana, arrivando così ad un 10%
circa del fabbisogno nazionale. In primo piano per l’aumento dell’estrazione il
ruolo dell’offshore del Mare Adriatico. Arrivato dopo tre anni dalla moratoria
imposta nel 2019 dall’allora governo, il Piano è una mappa, una sorta di piano
regolatore, che indica dove sarà consentita l’estrazione di idrocarburi.
«Regole certe dopo anni di attesa», sottolinea il Mite, con alcuni paletti.
L’intento infatti è quello di razionalizzare e concentrare le attività di estrazione
su poche concessioni attive. Il via libera infatti riguarda solo le attività le cui
domande sono state presentate dopo il primo gennaio del 2010. Troppo poco
attente ai criteri ambientali – è questa la considerazione fatta a monte della
decisione – quelle antecedenti. Scopo del piano infatti, viene precisato, è
individuare «un quadro di riferimento delle aree, a terra e a mare, ove è
consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di
idrocarburi, stabilendone la “compatibilità” con il territorio interessato, secondo
valutazioni di sostenibilità ambientale, sociale ed economica».
La soluzione non convince però per niente il fronte ambientalista:
«pretendiamo che il governo faccia la sua parte nel contrastare la crisi
climatica, definendo immediatamente un piano di uscita dal gas fossile e che
gli investimenti previsti in questo settore, comprensivi di Capacity Market (il
meccanismo con cui ci si approvvigiona di capacità di energia elettrica con
contratti a termine) e che ci costeranno almeno 30 miliardi di euro, vengano
direzionati sull’unica vera soluzione: le fonti rinnovabili», dicono nel loro
manifesto gli organizzatori della protesta.
Complessivamente il Pitesai riguarda un ambito del 42% del territorio italiano
e stabilisce la chiusura alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di
tutte le aree marine e terrestri non comprese nell’ambito territoriale di
riferimento della pianificazione e valutazione del Piano. Tra le aree che non
potranno più essere interessate da attività di ricerca e coltivazione, le Regioni
Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Liguria, Umbria, in parte Toscana e
Sardegna, e a mare il 5% dell’intera superficie marina sottoposta a
giurisdizione italiana.