GRAFICI PER SPIEGARE LE
CONSEGUENZE DELLA GUERRA
A un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di
Vladimir Putin, sono molte le domande che sorgono sui costi umani ed economici
che il conflitto avrà sul medio e sul lungo termine: non solo per i paesi direttamente
coinvolti, ma anche per l’Europa e per il resto del mondo. Quanti saranno gli
ucraini costretti a fuggire dalla guerra? E che impatto avrà l’ondata di profughi
sui paesi di arrivo? La crisi dell’energia potrà essere risolta? E le sanzioni ad una
Russia sempre più isolata sul piano globale stanno funzionando? Con sei nuovi
grafici, abbiamo provato a spiegare alcune delle conseguenze del conflitto.
La prima conseguenza di qualsiasi guerra non può che essere quella sulle vite
dei cittadini attaccati. La guerra in Ucraina non fa eccezione e ha anzi creato la
peggior emergenza umanitaria in Europa dal secondo dopoguerra. Si stima che
nel paese 1,4 milioni di persone non abbiano più accesso all’acqua
potabile, e 4,6 milioni ne abbiano un accesso limitato. Inevitabilmente di fronte
a questi numeri e ai continui bombardamenti, gli Ucraini stanno lasciando il loro
paese al ritmo di 90 mila al giorno.
In appena trenta giorni sono così oltre 3 milioni e 800mila i profughi fuggiti dal
paese: più di quelli che erano stati causati dalle guerre dei Balcani o che erano
giunti in Europa nel corso della “crisi dei migranti” del 2015-2016. La maggior
parte di questi profughi si dirige in Polonia, che ha già accolto più di 2,2 milioni
di ucraini: più della popolazione di Varsavia.
Al numero dei profughi bisogna poi aggiungere quello dei 6,5 milioni di
sfollati. La maggior parte dei quali sono bambini: 4,3 milioni, più della metà
del numero stimato di 7,5 milioni di bambini del paese.
Ma anche la Russia ed i suoi cittadini non sono immuni dalle conseguenze
della guerra. Che in questo caso sono soprattutto economiche complici le
sanzioni imposte dall’occidente. Sanzioni che, come ammesso dallo stesso
Putin, costringeranno il paese “a difficili e profondi cambiamenti strutturali
della sua economia che porteranno a un incremento di disoccupazione e
inflazione” già visibile. Nel giro di una settimana l’inflazione annuale è infatti
aumentata di 2 punti percentuali, e dovrebbe raggiungere il 17% entro la fine
dell’anno.
Ad aumentare sono soprattutto i prezzi di beni importati e di prima necessità,
comunque presi d’assalto nei negozi per paura di future carenze. Per far fronte
a questa inflazione, Putin ha annunciato un (timido) aumento di pensioni e
salari con tanto di hotline a supporto di chi soffre per il carovita. Poca cosa alla
luce delle previsioni di crescita della Russia per il 2022. Se prima della guerra il
PIL russo sarebbe dovuto crescere del 3%, ora oscilla tra -6% e un -15% nel
caso di conflitto protratto nel tempo.
Il PIL è solo uno degli indicatori dell’effetto delle sanzioni sulla Russia. Nel
giorno successivo all’inizio dell’invasione la borsa ha avuto un vero e proprio
crollo: fino a -45% nell’indice MOEX che raggruppa le 50 maggiori società
quotate alla Borsa di Mosca. Si tratta del calo peggiore della sua storia e il
quinto più grande nella storia di qualsiasi indice azionario. Tanto da
costringere Mosca a sospendere la compravendita di titoli per un mese a partire
dal 25 febbraio. Neanche durante la crisi finanziaria del 1998 la Borsa di Mosca
era rimasta chiusa così a lungo.
Alla riapertura l’indice MOEX è aumentato di circa il 4% con una netta crescita
soprattutto dei titoli energetici (Gazprom +13%). Si tratta però di una
“performance” truccata. La banca centrale russa ha infatti vietato le vendite
allo scoperto (dove gli investitori scommettono che il valore di un’azione
scenderà) e ha impedito agli stranieri di vendere le loro azioni. Parallelamente,
il Cremlino ha autorizzato un fondo sovrano russo a comprare circa 10 miliardi
di dollari in azioni.
Considerando il peso di Mosca e Kiev nel commercio globale (poco più del
2%) sembrerebbe intuitivo pensare che la crisi economica generata dal conflitto
possa restare circoscritta. In realtà, buona parte del Pil dei due Paesi è
generato dalla vendita di materie prime difficilmente sostituibili nel breve
termine. Per questo, il conflitto, inserendosi in un contesto già difficile per le
materie prime, sta ulteriormente accelerando un trend al rialzo dei prezzi
iniziato con la ripresa post-pandemia.
I prezzi spot del gas olandese (Dutch TTF) sono più che raddoppiati nei giorni
successivi all’invasione russa, raggiungendo il valore record di 345 euro per
Megawattora l’8 marzo scorso: dieci volte i valori di inizio 2021. Alle stelle è
andato anche il prezzo del nickel, indispensabile per l’industria siderurgica, al
punto da venire sospeso due volte sulla borsa di Londra per eccesso di rialzo.
Mentre l’importanza di Ucraina e Russia nella produzione globale di cereali ha
fatto crescere di oltre il 20% le quotazioni del grano, tanto che paesi dalle
regioni più disparate del mondo, dall’Ungheria all’Indonesia, cominciano a
vietarne l’esportazione.
Le economie avanzate faranno così i conti con un’ulteriore spinta inflazionistica
e il pericolo di stagflazione. I Paesi a basso e medio reddito rischiano invece
una rinnovata instabilità politica per l’aumento dei prezzi del cibo.
Un’eventualità che solo in alcuni casi (Golfo e Sudamerica in primis) potrà
essere compensata dagli alti ricavi per la crescita dei prezzi delle altre
commodities esportate.
L’effetto di sanzioni e contro-sanzioni sta ulteriormente amplificando questo
impatto complessivo sui mercati. Lo si vede chiaramente guardando ai prezzi
del petrolio. Stati Uniti, UK e Canada hanno smesso o smetteranno di
importare petrolio russo nei prossimi mesi. Non una grande rinuncia se si
guarda al peso di greggio e derivati russi sul totale delle loro importazioni di tali
prodotti: circa l’8% per USA e UK, meno dell’1% per il Canada. Questa
decisione segnala però ai trader il rischio sempre maggiore di commerciare
greggio russo. Così chi acquista si “butta” sul petrolio degli altri, facendone
impennare i prezzi (ai massimi dal 2008).
Occorrerebbe quindi aumentare l’offerta per evitare di dare benzina
all’inflazione. Lo sanno bene gli Stati Uniti, che cercano sponde tra paesi non
proprio alleati. Tra questi anche l’Iran. Un fatto che sta creando nuovi ostacoli
ai negoziati sul nucleare proprio quando ormai sembrava intravedersi il
traguardo. Rimuovendo le sanzioni su petrolio ed economia iraniana, il regime
degli ayatollah potrebbe aggiungere fino a 1,3 milioni di barili di greggio al
giorno alla propria produzione. I prezzi del greggio scenderebbero e con essi le
entrate economiche di cui Mosca ha ora disperato bisogno. Ecco perché
potrebbe decidere di far saltare l’accordo.
Al di là degli aspetti umanitari ed economici non si possono non menzionare le
conseguenze della guerra sui rapporti tra Occidente e Russia, che
sembrano ormai separati da una distanza incolmabile. Una distanza che
diventa visibile guardando anche solo alle rotte del traffico aereo. Unione
europea, Stati Uniti e Giappone hanno vietato agli aerei russi di attraversare
il loro spazio aereo, innescando di conseguenza il divieto reciproco di Mosca.
Molte tratte hanno quindi subito cambiamenti di rotta significativi: due ore in più
per un volo Francoforte a Pechino, o tra Londra e Tokyo. Se fino a poche
settimane fa per andare in Thailandia dal nord Europa si passava sopra la
Russia, ora bisogna volare a sud-est verso l’Arabia Saudita.
FONTE – ISPI