ANALISI E COMMENTI – Transizione demografica: la terza chiave per il futuro dell’Europa

Transizione demografica: la terza chiave
per il futuro dell’Europa


Dubravka Šuica, vicepresidente della Commissione europea e
commissaria per la democrazia e la demografia, ci ha spiegato perché
servono interventi e politiche che partano dai territori e tengano conto
del ciclo di vita nel suo complesso. E che sono importanti tanto quanto
la transizione ambientale e quella digitale
di Paolo Riva
Nonostante gli anni del Covid abbiano portato a una diminuzione
dell’aspettativa di vita nell’Unione Europea (passata da 81,3 anni del 2019 a
80,1 del 2021), le stime dicono che entro il 2050 gli over 65 diventeranno il
29,6% della popolazione (oggi sono circa il 20,1%) e che crescerà l’età media
(da 44 a 52,1 anni). In parole povere, il Vecchio Continente sarà sempre più
vecchio. Le ragioni sono varie ma, come vi stiamo spiegando da alcune
settimane, questo mutamento si deve soprattutto alla crescente denatalità che
interessa l’Europa. E in particolare l’Italia.
Questo mutamento demografico è un processo lungo, in corso da tempo e
che avrà grandi conseguenze in tanti ambiti diversi. Per cercare di governarlo
a livello comunitario, e non solo dei singoli Stati, la Commissione Europea dal
2019 ha una vice presidente per la democrazia e la demografia, la
commissaria croata Dubravka Šuica.
Lo scopo del portafoglio della Commissione gestito da Šuica è di
comprendere le tendenze demografiche e di colmare i divari sul mercato del
lavoro. Ma anche di sviluppare forme di giustizia e solidarietà
intergenerazionale, cercando di affrontare l’assottigliamento della popolazione
e le nuove tendenze strutturali, tra cui le strutture familiari, la migrazione e
l’invecchiamento. Abbiamo chiesto a Šuica come l’Europa si stia muovendo
per perseguire questi obiettivi.
Decidere che una vicepresidente della Commissione si dedichi al tema della
demografia è stato un forte segnale politico di attenzione da parte della
Presidente Von der Leyen. Tuttavia, tenendo presente che molte competenze
in questo settore restano agli Stati membri, quale ruolo svolge la
Commissione europea nel contrastare il declino demografico europeo?
Il cambiamento demografico può essere graduale e meno visibile di alcune
sfide che dobbiamo affrontare, come il cambiamento climatico o la transizione
digitale, ma non per questo è meno urgente. Se non teniamo conto dei
cambiamenti demografici, non possiamo essere pienamente efficaci
nell’attuazione delle nostre iniziative politiche, in particolare quelle che
affrontano la transizione verde e digitale, ma anche la ripresa post-Covid.
Senza contare le sfide immediate e a lungo termine causate dalla guerra
illegale del Cremlino contro l’Ucraina.
Tutto ciò che facciamo e tutte le politiche che progettiamo sono sostenute
dalla demografia e, se non si tiene pienamente conto dei cambiamenti
demografici, tutti i nostri sforzi potrebbero risultare inutili.
Pertanto, tenere conto delle tendenze demografiche e anticiparne l’impatto è
fondamentale per un processo decisionale responsabile e reattivo nelle
democrazie. Non saremo in grado di raggiungere gli obiettivi delle nostre
ambiziose, ma necessarie, transizioni verdi e digitali senza tenere conto della
terza transizione chiave: il cambiamento demografico.
Il rapporto sull’impatto del cambiamento demografico redatto dalla
Commissione UE dimostra che non esiste un approccio unico. Le politiche
devono concentrarsi sulla realtà del territorio. Soprattutto, dobbiamo vedere
queste tendenze demografiche non come sfide ma come opportunità. Questo
illustra il cambiamento di mentalità necessario nella ricerca di risposte
politiche adeguate. Sulla base del Rapporto sul cambiamento demografico,
stiamo affrontando questioni importanti come l’invecchiamento, le aree rurali, i
diritti dei bambini, lo spopolamento, la fuga dei cervelli e l’assistenza a lungo
termine. Questi sono i passi concreti verso un’Unione europea per tutte le età.
Con il Libro verde sull’invecchiamento demografico, la Commissione ha
avviato “un ampio dibattito politico su questo tema”. Cosa è emerso finora?
Esiste una visione condivisa tra gli Stati membri? La pandemia come ha
cambiato il quadro?
La pandemia di Coronavirus ha messo in luce le nostre vulnerabilità. Ha
sottolineato l’importanza di comprendere e rispondere all’impatto del
cambiamento demografico nella nostra società. L’età, il movimento della
popolazione o la sua densità possono influenzare la virulenza di malattie
infettive come il Coronavirus.
I cambiamenti demografici influenzano la nostra vita quotidiana; hanno un
impatto su come e dove viviamo. Le aree urbane e rurali risentono in modo
diverso dei cambiamenti demografici. I modelli di carriera continueranno a
cambiare, mettendo in discussione i nostri sistemi di istruzione e formazione.
Il fatto che la nostra aspettativa di vita sia aumentata così tanto è innanzitutto
un risultato enorme. Viviamo più anni in buona salute. Ma ci sono certamente
delle sfide. In alcuni Stati membri questo fenomeno è già avvertito in modo più
acuto che in altri. Proprio per questo motivo riteniamo che sia giunto il
momento di agire, di affrontare questi problemi e di trasformarli in opportunità.
Il Libro verde sull’invecchiamento adotta un approccio basato sul ciclo di vita,
affrontando tutte le età e analizzando sia le sfide che le opportunità, come ad
esempio:
● l’invecchiamento sano e attivo e l’apprendimento permanente
● l’aumento della domanda di assistenza sanitaria e di assistenza a lungo
termine;
● sostenere i sistemi di protezione sociale con la diminuzione della
popolazione in età lavorativa;
● incrementare la produttività e la partecipazione al mercato del lavoro
● motore dell’innovazione e dell’economia d’argento
● la sostenibilità e l’adeguatezza dei nostri sistemi pensionistici
● la vita e l’apprendimento intergenerazionale e il volontariato.
Affrontare questi problemi è essenziale per mantenere la prosperità e
garantire la solidarietà e l’equità tra le generazioni, contribuendo così a creare
società più coese.
La crisi ucraina sta ponendo nuove, grandi sfide all’Europa sul fronte
migratorio. In generale, come può una gestione unitaria dei flussi migratori
essere funzionale ad affrontare la questione demografica? In altre parole, le
due questioni devono e possono essere collegate, a maggior ragione ora che
stiamo accogliendo rifugiati – in molti casi minori – in fuga dall’invasione
russa dell’Ucraina?
La migrazione legale è un elemento importante nella ricerca di soluzioni alla
carenza di lavoratori qualificati. La migrazione è anche un fenomeno naturale
fin dall’inizio dell’umanità e molti Paesi e società ne hanno beneficiato e ne
beneficiano tuttora. E non è un segreto che la migrazione sia destinata a
rimanere.
Abbiamo recentemente adottato la comunicazione sulle competenze e i talenti
nell’ambito del pacchetto sulla migrazione legale, e la demografia occupa un
posto di rilievo in questo ambito. La migrazione legale può contribuire a
incrementare la popolazione europea in età lavorativa, rispondendo al
contempo alle esigenze specifiche del mercato del lavoro e alle disparità
regionali.
Probabilmente è ancora troppo presto per valutare l’impatto della terribile
guerra in corso sulla popolazione ucraina. Nell’immediato abbiamo lavorato
alla mappatura della diaspora ucraina nell’UE, che potrebbe essere utile per
pianificare la destinazione di coloro che fuggono dalla guerra e cercano rifugio
negli Stati membri.
Percorsi di secondo welfare si occupa di tutte quelle forme di intervento
sociale che sono sostenute principalmente da risorse non-pubbliche. Secondo
lei, qual è il ruolo del settore privato, sia profit che sociale,
nell’implementazione di politiche di welfare in grado di “rispondere alle sfide e
alle opportunità che l’invecchiamento comporta”?
I cambiamenti demografici che stiamo affrontando sono così profondi che
dobbiamo mobilitare tutte le risorse e le parti interessate per garantire che le
nostre società siano più resilienti e adatte al futuro. Ciò comporta azioni molto
concrete e una maggiore partecipazione del settore privato alla fornitura di
servizi di welfare.
La crescente dimensione della popolazione anziana europea apre
chiaramente un potenziale di innovazione e creatività nel fornire soluzioni su
misura. E questo potenziale può essere sfruttato solo se il settore privato si
impegna attivamente. In qualità di regolatori, sia a livello europeo che
nazionale, dobbiamo assicurarci che siano presenti i giusti incentivi per
l’attivazione di questo settore e che le barriere vengano progressivamente
rimosse.
Ciò consentirà sia alle organizzazioni profit sia a quelle sociali di contribuire in
modo tangibile e concreto.

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