Bonus edilizi, le frodi arrivano a
quota 5,6 miliardi di euro
di Giuseppe Latour
La maggiore incidenza di illeciti continua ad essere registrata sul bonus
facciate. Anche se dai numeri si nota un raffreddamento delle frodi
Le frodi sui bonus edilizi toccano quota 5,6 miliardi di euro. Il numero è stato
reso noto ieri dal comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe
Zafarana, nel corso del suo intervento al Quirinale davanti al presidente della
Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione delle celebrazioni del 248 esimo
anniversario del Corpo.
Il bilancio
Rispetto al precedente aggiornamento, datato febbraio 2022, sulle attività
investigative sui crediti d’imposta, svolte in collaborazione con l’agenzia delle
Entrate, c’è stata una crescita: allora il contatore era arrivato a quota 4,4
miliardi. «Nell’arco di pochi mesi – ha spiegato Zafarana – abbiamo attivato su
tutto il territorio nazionale una serie di investigazioni che ci hanno consentito
di accertare complessivamente crediti fiscali fittizi per 5,6 miliardi». Di questi,
«2,5 sono stati sequestrati e, purtroppo, 2 miliardi sono stati monetizzati».
La maggiore incidenza di illeciti continua ad essere registrata sul bonus
facciate. Anche se dai numeri si nota un raffreddamento delle frodi. A
febbraio, ad esempio, i sequestri erano 2,3 miliardi. Sono, quindi, rimasti
stabili. Così come non c’è stata un’esplosione dei crediti indebitamente
monetizzati. Segno che la forte stretta degli ultimi mesi, pur portando molti
problemi al mercato, ha ridotto i reati.
La risposta
Proprio sul fronte dei problemi, ieri mattina la commissione Industria di
Palazzo Madama ha approvato una risoluzione che si fa carico dell’allarme
che, ormai da settimane, arriva da tutta la filiera delle costruzioni. Nel testo,
soprattutto, si vincola l’esecutivo a fare due cose.
In primo luogo, ad adottare «in tempi estremamente celeri ogni opportuna
iniziativa» volta a garantire la piena funzionalità del meccanismo di cessione
dei crediti, sbloccando gli oltre 5 miliardi fermi nei cassetti fiscali. Il secondo
impegno è «ad ampliare la platea dei cessionari», prevedendo la possibilità
per le banche «di cedere i crediti d’imposta» ai propri correntisti «rientranti
nella definizione europea di piccole e medie imprese».
A testimoniare il crescente grado di preoccupazione di tutto il mercato, proprio
ieri si è riunita a Roma la filiera delle costruzioni, composta da venti sigle, tra
enti ed associazioni, compresi Confindustria, Ance, Oice, Cna,
Confartigianato, Rete delle professioni tecniche, Isi e Anaci.
L’obiettivo è «denunciare con forza – si legge in una nota congiunta – il rischio
di default economico determinato dal blocco della cessione dei crediti da
bonus edilizi. Un fenomeno denunciato da tempo e causato da continue
modifiche legislative che mirano, nemmeno troppo velatamente, a ridurre il
ricorso ai benefici fiscali». Il blocco sta mettendo a rischio la sopravvivenza di
imprese e studi professionali, in crisi di liquidità.
Per questo motivo, la filiera «fa appello a tutte le forze politiche affinché in
sede parlamentare siano trovate soluzioni straordinarie e immediate» e chiede
«un incontro nei prossimi giorni con i leader politici».
Intanto, in Parlamento sono arrivate due risposte a interrogazione in materia
di bonus edilizi. In Senato, sempre in commissione Industria, la
sottosegretaria al ministero della Transizione ecologica, Vannia Gava ha
risposto a un quesito del senatore Emiliano Fenu, soffermandosi soprattutto
sull’incompatibilità tra il superbonus e i soggetti che producono redditi di
impresa.
Contro un futuro ampliamento
Per loro, al momento, il 110% è escluso. Contro un futuro ampliamento, però,
c’è il principio di derivazione europea che vieta la sovracompensazione: «Le
sovvenzioni concesse in relazione al sostenimento di determinati oneri –
spiega la risposta – non possono essere di ammontare superiore al costo
sostenuto». Soprattutto in caso di combinazione tra il 110% e le misure del
piano Transizione 4.0 c’è il rischio che si vada oltre.
Il Mef, comunque, ha stimato i possibili costi di questo ampliamento.
Considerando i soggetti che, nel corso del 2020, hanno effettuato investimenti
legati al piano Transizione 4.0 e che hanno versato l’Imu per immobili
strumentali, è stata individuata una platea potenziale di 143 mila aziende. Se il
20% di queste accedesse al superbonus, con una spesa media da 150mila
euro, il costo sarebbe di circa 4,3 miliardi.
Infine, in commissione Finanze alla Camera la sottosegretaria al Mef, Maria
Cecilia Guerra è tornata sul tema dei termini per gli interventi di superbonus
nelle case unifamiliari. Ha spiegato, anzitutto, che per superare il tetto del
30% non basta guardare ai pagamenti, perché «è necessaria la realizzazione
di almeno il 30% dell’intervento complessivo». La norma, infatti, parla di lavori
effettuati.
Sempre sul 30%, poi, arriva la conferma che è possibile considerare solo gli
interventi ammessi al 110% oppure scegliere di includere anche i lavori esclusi
dalla detrazione.
fonte: IL SOLE 24 ORE