Italia senz’acqua: nuove infrastrutture
per salvare il Paese
Il Gruppo Webuild lancia la proposta di un piano investimenti in
dissalatori per la produzione di acqua potabile direttamente dal mare
Il racconto della crisi idrica che colpisce l’Italia è raccolto nell’immagine del
Po scattata da un satellite nei giorni scorsi. Visto dall’alto, il fiume più lungo
del paese – che dalle Alpi Cozie sfocia nell’Adriatico portando in media 1.540
metri cubi di acqua al secondo – assomiglia a un ruscello. Rinsecchito,
rimpicciolito, in alcuni punti grigio come la sabbia che lo soffoca. Tutto intorno,
le campagne della Pianura Padana assumono un colore giallognolo, il colore
del sole che brucia la terra e la rende secca, incapace di produrre frutta e
verdura.
L’immagine del Po è l’immagine della siccità che tocca anche l’Italia, un paese
naturalmente ricco di risorse idriche eppure vittima dei cambiamenti
climatici e allo stesso tempo impreparato a gestirli perché molto indietro
rispetto alla costruzione di infrastrutture in grado di gestire questa crisi.
Secondo la Coldiretti, l’associazione che rappresenta gli agricoltori italiani, la
crisi idrica minaccia il 30% della produzione agricola nazionale. Nel caso
specifico del Po, l’Autorità di Bacino per ora non ha bloccato l’uso irriguo delle
acque del fiume, ma ha comunque ridotto i prelievi del 20%. Un grande fiume
come il Po è essenziale anche per far funzionare infrastrutture
importanti come le centrali idroelettriche. La scorsa settimana Enel, il
colosso energetico italiano, ha dovuto fermare l’attività della centrale
idroelettrica di Isola Serafini a Piacenza proprio perché le acque del fiume
avevano raggiunto un livello troppo basso.
Non stupisce allora se nei giorni scorsi molti governatori regionali hanno
chiesto lo stato di emergenza e quindi l’intervento della Protezione Civile nelle
aree più colpite. Per far fronte all’emergenza idrica il Gruppo Webuild, tra i
leader mondiali nel settore hydro, ha lanciato proprio in queste ore il progetto
“Acqua per la vita”, una proposta che a breve sarà presentata al governo
italiano e alle istituzioni locali per investire nella costruzione di dissalatori,
impianti capaci di produrre acqua potabile direttamente dal mare.
“Acqua per la vita”, il piano di Webuild per salvare l’Italia
La desalinizzazione è una tecnologia già sperimentata in molte aree del
mondo, a partire dal Medio Oriente, dove l’acqua storicamente è un bene raro.
Webuild, attraverso la società Fisia Italimpianti, è uno dei leader in questa
tecnologia e gestisce impianti in diverse parti del mondo che permettono di
creare acqua potabile dall’acqua del mare.
Da qui l’idea di presentare un piano al governo italiano affinché questa
tecnologia venga adottata anche in Italia, risolvendo così una crisi che tocca
non solo le regioni del Sud ma anche quelle del Nord.
«Contando sulla enorme esperienza mondiale del Gruppo sull’acqua inclusa
la tecnica della dissalazione – ha dichiarato Pietro Salini, amministratore
delegato di Webuild – vogliamo promuovere un progetto che permetta al
Paese di risolvere questo problema endemico che sta peggiorando sempre
più. La nostra controllata Fisia ha già realizzato la maggior parte degli impianti
di dissalazione in funzione nel Medio Oriente, rendendo possibile la vita in
città strappate al deserto come Abu Dhabi o in città ad alto consumo di acqua
come Dubai. La carenza idrica in Italia è un fenomeno storico e non solo
momentaneo legato al cambiamento climatico. È necessario quindi un
intervento immediato e strutturale per risolvere una volta per tutte lo stato di
profonda crisi idrica del Paese, anche facendo ricorso alle risorse del
PNRR».
L’Italia oggi ha una produzione di acqua desalinizzata di appena il 4% rispetto
al consumo totale, contro il 56% della Spagna o il 26% dell’Australia, e questo
nonostante il paese sia una penisola bagnata dal mare. Investire quindi in
questa tecnologia potrebbe dare una risposta efficace al tema della crisi idrica
che attanaglia il paese, una risposta che può arrivare anche destinando i fondi
del PNRR a questi progetti.
Il ruolo del PNRR nella lotta alla siccità
Di fronte alle immagini del Po in secca molti osservatori guardano al PNRR, il
Piano nazionale che dovrebbe assicurare risorse economiche per intervenire
su questioni strategiche come appunto l’approvvigionamento idrico.
Sul tema è intervenuto anche Attilio Fontana, il governatore della Lombardia
(una delle regioni bagnate dal Po). «Bisogna guardare avanti con interventi
strutturali – ha detto Fontana nei giorni scorsi – che sono necessari e
improcrastinabili e si dovrà magari intervenire con i fondi previsti dal PNRR».
Il tema chiave sono proprio i fondi del PNRR che tuttavia, almeno rispetto al
capitolo “acque”, non sembrano sufficienti per rispondere all’emergenza
attuale. Ad oggi il Piano ha stanziato per la “gestione sostenibile delle risorse
idriche” e per la “tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica” 4,38
miliardi di euro. La quota maggioritaria dei fondi (2,36 miliardi) è destinata
alle infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento di
acqua (dighe, laghi artificiali, collegamenti tra acquedotti); 520 milioni sono
destinati per un miglior utilizzo dell’acqua in agricoltura; 900 milioni per gli
acquedotti; e 600 milioni per fognature e depuratori.
In realtà, secondo un’analisi condotta da Arera (l’Autorità di Regolazione per
l’Energia Reti e Ambiente) questa dotazione complessiva è inadeguata per
rispondere ai bisogni del paese. Il rapporto indica nel complesso un
fabbisogno totale di 10 miliardi di euro, che dovrebbero essere destinati
principalmente a interventi per ridurre se non azzerare le perdite idriche,
migliorando la qualità dell’acqua. Il tema principale in chiave di infrastrutture è
proprio quello della manutenzione, per la quale l’Italia ha bisogno di interventi
strutturali sulla rete da realizzare nel brevissimo periodo.
Rimettere in sesto la rete idrica nazionale: ecco la priorità
Far fronte all’emergenza richiede una serie di interventi infrastrutturali da
realizzare nel breve e medio periodo, primo tra tutti la manutenzione della
rete idrica nazionale.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, che risale
al 2021, per ogni 100 litri di acqua che viaggiano negli acquedotti italiani, 42
vanno persi. Solo recuperando le perdite idriche – calcola ancora l’Istat –
sarebbe possibile raccogliere acqua sufficiente per soddisfare i bisogni
annuali di 44 milioni di persone. Ad oggi, infatti, il 9,4% delle famiglie italiane
lamenta irregolarità nel servizio idrico.
Nuove infrastrutture, quindi, e interventi massicci di manutenzione su quelle
esistenti: è questa l’unica strada per mettere un freno agli effetti di quel triste
record di zero piogge consistenti negli ultimi 180 giorni. Un record aggiornato
di ora in ora.
Emergenza acqua arginata in due anni. Ma
servono 3 miliardi per i desalinizzatori
di Laura Galvagni
«II Paese ha una carenza d’acqua potabile di circa 2,9 miliardi di metri
cubi l’anno. Questo è il problema che in prospettiva dobbiamo
affrontare».
Un intervento d’emergenza per evitare una crisi, quella dell’acqua, che
altrimenti rischia di impattare su «un’intera generazione». È questa la filosofia
alla base del piano che il gruppo Webuild ha messo nero su bianco per dare
una risposta alla sete del Paese: 16 desalinizzatori per garantire la produzione
di 1,6 milioni di metri cubi al giorno. Per un investimento complessivo, si
stima, da 2,5-3 miliardi di euro. Questo solo per soddisfare da subito le
necessità del periodo estivo ma per coprire il fabbisogno complessivo
andrebbero realizzati almeno 80 impianti. A parlarne con Il Sole 24 Ore è
Pietro Salini, amministratore delegato del gruppo di costruzioni che tra i suoi
asset chiave può contare Fisia Italimpianti, leader mondiale del settore.
Il piano che proponete è compatibile con le necessità d’acqua che ha il
Paese?
È evidente che siamo in una situazione di emergenza. E va affrontata tenendo
ben presenti due aspetti: da un lato abbiamo un gap enorme rispetto al resto
del mondo nella gestione, nel recupero, nella produzione e nella dispersione
dell’acqua e questo è un fatto che viene da lontano. Dall’altro dobbiamo anche
considerare come la utilizziamo: di quella potabile ne consumiamo il doppio
rispetto alla Spagna. È chiaro che questo non è un problema che possiamo
pensare di risolvere nel breve. La battaglia che stiamo conducendo contro il
cambiamento climatico e il riscaldamento globale sarà lunga e senza soluzioni
alternative rischiamo che un’intera generazione si trovi a dover soffrire di
mancanza d’acqua. E allora prendiamo atto del fatto che siamo circondati dal
mare e che abbiamo in casa una forte competenza nella desalinizzazione.
Ma cosa proponete concretamente?
Abbiamo stimato che nel complesso il Paese ha una carenza d’acqua potabile
di circa 2,9 miliardi di metri cubi l’anno. Questo è il problema che in
prospettiva dobbiamo affrontare. Ma rispetto alle effettive necessità di
carattere emergenziale possiamo gestire la situazione di crisi con la
produzione di 1,6 milioni di metri cubi al giorno. Il che significa la realizzazione
per la crisi stagionale di 16-18 dissalatori di media potenza, che
impiegherebbero peraltro fino a 10 mila persone, con ricadute positive su
reddito e lavoro, e che potremmo iniziare a realizzare subito in modo da farli
diventare operativi nel giro di due anni. Ad oggi sono nove i capoluoghi che
hanno l’acqua razionata. Non ci possiamo affidare alla buona sorte, sperando
nella pioggia. La questione va affrontata e solo questo piccolo progetto
potrebbe dare una risposta concreta a quel 30% della popolazione che soffre
della mancanza di acqua potabile. Questa è la differenza tra civiltà e barbarie.
Per questo siamo a disposizione del governo. Sappiamo che in queste ore sta
nominando un commissario che avrà poteri speciali per superare tematiche di
carattere burocratico e autorizzativo. E siamo pronti a collaborare con le
Autorità locali che, per il tramite del commissario, dovranno coordinare
trasporto e stoccaggio d’acqua.
Quanto costerebbe mettere in atto un simile piano e quali sarebbero poi
i costi finali per i consumatori?
Ritengo che sulle isole potrebbero essere sufficienti anche impianti di piccole
dimensioni mentre per la Sicilia va immaginato un intervento più strutturale. Il
costo dell’acqua desalinizzata si attesta attorno ai 2-3 euro al metro cubo,
certo noi oggi la paghiamo circa 1,5 euro ma il prezzo di un metro cubo di
acqua trasportata via nave si aggira sui 13-14 euro. Per giunta se si guarda il
resto d’Europa, in Germania si raggiungono i 7 euro al metro cubo, in Spagna
4 euro e in Francia 3 euro. Tra l’altro non è più sostenibile pagare così poco
l’acqua e perderne la metà: le nostre reti che in alcune zone hanno un tasso
dispersione superiore al 50%.
Parlando d’Europa, un recente studio della società di consulenza Althesys ha
evidenziato i benefici della desalinizzazione indicando la Spagna come
esempio positivo.
In Europa sono soprattutto i paesi mediterranei quelli maggiormente
interessati alla desalinizzazione, che effettivamente ha conosciuto un notevole
sviluppo soprattutto in Spagna, dove nel 2021 risultano installati 765 impianti,
tra cui anche opere di grande taglia al servizio di aree urbane importanti come
Barcellona. In Italia possiamo contare su appena 400 milioni di metri cubi
d’acqua desalinizzata contro i 6 miliardi della penisola iberica, è un gap
enorme, di circa sette volte. Da noi vale appena il 4% mentre lì conta per il
56% e in Australia per il 26%. È una mancanza di visione non utilizzare
l’acqua marina che ci circonda.
Ma in altri paesi come siete intervenuti?
Fisia fino ad oggi ha realizzato impianti per il trattamento delle acque e per la
dissalazione con una produzione pari a 6 milioni di metri cubi al giorno,
sufficiente per andare incontro alle esigenze di 20 milioni di persone. Nel 2016
abbiamo completato un progetto assai complicato per dissetare la città di Las
Vegas: un tunnel aulico. L’intervento garantisce la fornitura di acqua potabile a
quasi 2 milioni di residenti attraverso un articolato sistema di prelievo e
trasporto delle acque del Lake Mead. Ma siamo anche leader in Medio
Oriente dove siamo riusciti a strappare le terre al deserto.
Che aiuto può arrivare dal Pnrr?
L’acqua è uno dei temi tipicamente legati alla resilienza, è l’oggetto principale.
Concretamente al momento il Pnrr individua quattro voci di investimenti con lo
scopo di garantire «sicurezza dell’approvvigionamento e gestione sostenibile
delle risorse che lungo l’intero ciclo» per uno stanziamento totale di 4,38
miliardi, di cui circa il 51% nel Mezzogiorno.
A proposito di Pnrr, l’asta andata deserta per la diga di Genova è un
segnale da cogliere? Si rischia la paralisi dei progetti?
Bisogna rendersi conto che le valutazioni fatte un anno fa non sono più attuali
ai prezzi di oggi. Tutti auspichiamo che i prezzi tornino quelli di prima ma nel
mentre va ripensato lo schema: vanno fatte delle stime capienti e inserite delle
formule che permettano di rivedere periodicamente le condizioni per non dare
a nessuno vantaggi aggiuntivi. Va trovato un equilibrio tra le parti. Il bando in
ogni caso prevedeva anche una negoziazione diretta. Credo che il
commissario avvierà una trattativa con le imprese, e noi ci saremo, per
portare a compimento quest’opera e metterci di nuovo a disposizione della
città.