Salario minimo: si punta sui contratti
collettivi, cosa cambia per i lavoratori
di Francesco Rodorigo – LEGGI E PRASSI
Il Governo punta ad introdurre il salario minimo in Italia attraverso la
contrattazione collettiva. I minimi cambieranno a seconda del settore in
riferimento al trattamento economico complessivo dei contratti più
diffusi. I CCNL vanno estesi a tutti i lavoratori che non rientrano nelle
categorie tuttora coperte e bisogna rinnovare e adeguare tutti quelli
scaduti
Salario minimo, il Governo ha intenzione di puntare sui contratti collettivi per
affrontare la questione del lavoro povero.
La proposta del Ministro Orlando, illustrata nella conferenza stampa del 12
luglio 2022, prevede l’ipotesi di salario minimo tenuto conto del trattamento
economico complessivo previsto dalle contrattazioni più diffuse. In questo
modo i salari minimi cambieranno a seconda del settore, garantendo
guadagni migliori.
La contrattazione collettiva può assicurare un salario adeguato a tutte le
categorie di lavoratori.
Sono quasi 3 milioni le persone che non sono coperte da un CCNL. Per molti
altri, invece, il contratto è da anni in attesa di un rinnovo. Il tutto comporta
condizioni di vita all’insegna di incertezza e vulnerabilità.
La direttiva UE approvata recentemente si muove proprio in questa direzione,
promuovendo il rafforzamento della contrattazione collettiva, senza l’obbligo di
implementare una retribuzione minima oraria.
Salario minimo: si punta sui contratti collettivi, cosa cambia per i
lavoratori
Il Governo potrebbe introdurre il salario minimo in Italia attraverso la
contrattazione collettiva. Si punta inoltre a rinnovare e adeguare i CCNL
scaduti e ad estenderli a tutte le categorie di lavoratori non coperti.
Il lavoro povero è un fenomeno sempre più dilagante nel Paese e il Governo
si sta muovendo per affrontare la questione della precarietà e dei salari,
troppo bassi per garantire una vita dignitosa ai lavoratori.
Dalla conferenza stampa del Presidente del Consiglio e del Ministro del
Lavoro, tenuta il 12 luglio 2022, sono emerse le intenzioni del Governo di
puntare sulla contrattazione collettiva.
Nel suo intervento, il Ministro del Lavoro, ha illustrato la proposta per cui il
salario minimo sarebbe introdotto senza stabilire un’unica soglia valida a
livello nazionale, come ad esempio i 9 euro l’ora previsti dal DDL Catalfo, ma
sulla base del trattamento economico complessivo (TEC) del contratto di
categoria.
Il TEC comprende il TEM, il trattamento economico minimo, cioè i minimi
tabellari, e tutti quei trattamenti economici comuni a tutti i lavoratori di un
determinato settore. Ad esempio tredicesima e quattordicesima, aumenti
periodici di anzianità, cassa maternità/paternità e incremento aggiuntivo di
retribuzione.
Al centro del progetto ci sono quindi i contratti collettivi. Il salario minimo
cambierebbe a seconda della categoria e sarebbe legato alla contrattazione
più diffusa o ai contratti firmati dalle associazioni rappresentative.
In questo modo i lavoratori con un guadagno inferiore al minimo otterrebbero
un rafforzamento di posizione e, come specificato dal Ministro, si
innescherebbe un meccanismo di aumento della media dei salari.
Salario minimo: è necessario rinnovare e adeguare i contratti
collettivi
Sono quasi 3 milioni i lavoratori poveri a cui l’estensione della contrattazione
collettiva garantirebbe un guadagno migliore.
I numeri del XXI Rapporto annuale dell’INPS forniscono un quadro
molto chiaro della situazione salariale italiana e del fenomeno della povertà
lavorativa, un contesto che potrebbe continuare a peggiorare a causa
dell’inflazione.
La base della proposta del Ministro Orlando è la direttiva europea su cui il
Parlamento Europeo e gli Stati membri dell’Unione hanno raggiunto un
accordo lo scorso 7 giugno 2022.
Questa non impone una soglia minima di retribuzione sotto la quale non è
possibile scendere, ma promuove la contrattazione collettiva e l’ampliamento
della sua copertura. Gli Stati avranno due anni di tempo per recepirla.
Bisogna, infatti, estendere i contratti collettivi a tutte le categorie di lavoratori
non coperti, i quali vivono in condizioni di incertezza e vulnerabilità.
La proposta sembrerebbe aver raccolto l’approvazione delle confederazioni
sindacali, le quali saranno impegnate anche nell’altra questione fondamentale,
cioè quella del rinnovo dei CCNL.
I lavoratori di alcuni settori si sono visti rinnovare il proprio contratto negli
ultimi mesi. Sono ancora molti però i CCNL scaduti che vanno rinnovati al più
presto, come ad esempio quelli del settore del commercio e dei servizi. Il
contratto collettivo, infatti, ha una durata di 3 anni, sia per la parte
normativa, sia per quella economica.