ANALISI E COMMENTI – CRISI DEL GAS: SPECIALE ITALIA

CRISI DEL GAS: SPECIALE ITALIA
● Per gran parte dell’Italia, si avvicina a grandi passi il momento
dell’accensione dei riscaldamenti. Ma questa è in assoluto la prima
volta in cui il nostro Paese e l’Europa intera cominciano l’“anno
termico” del gas senza poter essere sicuri che di gas ce ne sarà
ancora a sufficienza a fine inverno.
● Secondo le nostre simulazioni, ai trend attuali di importazioni e
consumi, a marzo l’Italia raggiungerà un livello di stoccaggi
talmente basso da essere costretta a mettere mano alle riserve
strategiche nazionali. Se l’inverno sarà rigido, con i trend attuali il gas
potrebbe persino non essere sufficiente. Altrettanto accadrebbe
nel caso dovessero venire a mancare tutti i flussi dalla Russia (già
oggi in forte declino) e dalla Norvegia (attualmente in forte calo
perché necessari alla Germania e ai Paesi dell’Europa orientale).
● Ciò non significa che nella seconda parte dell’inverno mancherà
inevitabilmente il gas in Italia. Le simulazioni (a parità di forniture
dall’estero rispetto a oggi) suggeriscono due scenari per i prossimi
mesi: o gli italiani risparmieranno già ai prezzi attuali una quota di
gas sufficiente (almeno il 10%, ma i nostri modelli suggeriscono che il
15% sarebbe un obiettivo preferibile); oppure i prezzi del gas non
potranno che aumentare per indurre un ulteriore calo della
domanda.
● Proprio dal lato della domanda, negli ultimi tre mesi i consumi di gas
italiani hanno fatto registrare un calo dell’8,5%, e addirittura del
13,8% solo a settembre, rispetto agli stessi periodi dell’anno scorso.
Non possiamo tuttavia dare tale riduzione dei consumi come
acquisita, perché la domanda attuale non include ancora gli
utilizzi di gas per riscaldamento. Questi ultimi, il cui andamento
tende a essere nettamente meno flessibile anche a fronte di notevoli
variazioni di prezzo, compongono ben il 55-60% della domanda di
gas italiana in autunno e in inverno.
Al 10 ottobre, gli stoccaggi di gas in Italia hanno raggiunto circa 16,6
miliardi di metri cubi (Gmc), pari a un riempimento del 93%. Ciò
permette di soddisfare al massimo circa il 31% dei consumi invernali
(ma solo a patto di utilizzare del tutto le riserve strategiche nazionali, che
coprono circa l’8% dei consumi): la restante parte, ovvero il 69%, dovrà
essere coperta con importazioni (65%) e produzione nazionale (4%).
Il grafico qui sopra rappresenta diversi scenari di quello che potrebbe
accadere in Italia da qui a fine aprile, con il relativo livello di stoccaggi che
raggiungeremmo. Sono però necessarie due premesse. La prima è che,
se gli stoccaggi si riducessero troppo, i prezzi del gas tenderebbero ad
aumentare, facendo abbassare i consumi e riducendo così il ritmo di
riduzione degli stoccaggi, che più difficilmente andrebbero verso lo zero.
Tuttavia, includere scenari ‘estremi’ di questo tipo permette di avere
un’idea delle dimensioni della sfida affrontata dall’Italia. La seconda
premessa è che, in nessun caso prima di oggi, l’Italia è arrivata a fine
inverno con livelli di stoccaggio che intaccano le riserve strategiche
nazionali, pari a 4,5 Gmc (l’8% dei consumi nazionali).
Qui sopra, nello scenario base (“baseline”) supponiamo innanzitutto che i
consumi italiani invernali mantengano un calo del 5%. Malgrado il calo
degli ultimi tre mesi sia più netto (–8,5%, si veda l’ultimo grafico di questo
DataLab), riteniamo che non sia possibile considerare tale diminuzione
come acquisita, perché i consumi di gas per riscaldamento (che
compongono circa il 55-60% del totale invernale) non hanno ancora
cominciato a aumentare e questi ultimi tendono a essere meno flessibili
rispetto al prezzo del gas di quelli industriali e termoelettrici.
Supponiamo inoltre che il livello delle importazioni resti quello fatto
registrare nelle ultime due settimane. In questo caso, a fine inverno gli
stoccaggi raggiungerebbero un livello minimo di 2,6 Gmc, ovvero
saremmo certamente costretti a utilizzare una parte consistente delle
riserve strategiche italiane. E potrebbe persino andare peggio: in caso
di totale assenza di gas inviato da Russia e Norvegia (Mosca a causa di
chiusure volontarie; la Norvegia perché, in assenza di flussi dalla Russia,
potrebbe dirottare il proprio gas verso i Paesi del nord-est europeo), i
livelli degli stoccaggi italiani a fine inverno raggiungerebbero gli 0,2 Gmc,
cioè sarebbero quasi totalmente vuoti. Infine, in caso di flussi come
quelli odierni, ma di un inverno rigido (utilizziamo come riferimento le
temperature medie fatte registrare nell’autunno-inverno 2017-2018),
andrebbe persino peggio, con gli stoccaggi che finirebbero teoricamente
“sotto zero” (-0,8 Gmc). In altri termini, il gas negli stoccaggi non
sarebbe sufficiente.
Se invece l’Italia riuscisse a garantire risparmi di consumi di gas del
10%, si potrebbero evitare i guai peggiori: il livello minimo degli
stoccaggi toccherebbe i 5 Gmc, appena sopra le scorte strategiche.
Ma, anche in quel caso, un inverno rigido e/o un totale stop delle forniture
da Russia e Norvegia ci costringerebbe a mettere mano alle riserve
strategiche nazionali e, nei casi peggiori, ad esaurirle.
Per meglio comprendere l’importanza degli stoccaggi di gas naturale nel
“sistema gas” italiano è utile tenere presente il loro ruolo nel soddisfare la
domanda di gas nel corso dell’anno. Questa può essere divisa in due parti:
una (piuttosto) fissa e una (molto) variabile.
Nella prima troviamo la domanda di gas del settore industriale (45 Mmc/g)
e delle centrali termoelettriche (75 Mmc/g). Per entrambe queste fonti, il
consumo giornaliero può variare anche molto: per esempio le industrie
lavorano meno nei weekend e durante le ferie estive, mentre il consumo delle
centrali termoelettriche (ovvero a gas o a carbone) varia a seconda delle
quantità di elettricità prodotta utilizzando altre fonti. Tuttavia, in generale
questi consumi tendono a restare relativamente stabili nel corso dell’anno.
I consumi diretti di residenze, uffici e servizi seguono invece un andamento
profondamente stagionale: da un minimo di 20 Mmc/g nei mesi estivi, a un
picco di 160 Mmc/g in quelli invernali, cioè quando il gas viene utilizzato per il
riscaldamento.
A fronte di una domanda abbastanza mobile, abbiamo invece un’offerta
piuttosto rigida. Le importazioni tendono infatti a restare relativamente
costanti durante tutto l’anno. Soprattutto perché la produzione di gas, sia
nazionale sia estera, non può essere facilmente aumentata o diminuita in
corrispondenza degli andamenti stagionali, e le nostre importazioni su tubo
immettono già quasi il massimo disponibile.
Gli stoccaggi, pertanto, non hanno solo una funzione di riserva strategica
(quei 4,5 Gmc su 17 menzionati in precedenza), ma di bilanciamento
stagionale per soddisfare la domanda di gas nei mesi più freddi.
Dall’inizio dell’anno fino a oggi, l’Italia ha ricevuto dalla Russia solo 10,3 Gmc,
contro i circa 23,3 degli anni passati: un ammanco di ben 13 Gmc. Eppure,
tra il 1° gennaio e l’11 ottobre 2022, l’Italia ha complessivamente ricevuto
dall’estero 55,1 Gmc: quantitativi sostanzialmente identici ai 55 Gmc ricevuti
nello stesso periodo dell’anno scorso. Sembrerebbe dunque che la crisi non
sia stata quasi avvertita, con il nostro Paese che è stato in grado di
rimpiazzare tutti i quantitativi di gas russo perduti grazie all’apporto di altri
fornitori.
Tuttavia, proprio in questi giorni si avvertono i primi segnali di cedimento. Le
opzioni di diversificazione utilizzate dall’Italia sono infatti al massimo di ciò che
è tecnicamente fattibile (vedi sotto) ed è probabile che il nostro Paese riuscirà
a importare tra ottobre e fine anno solo circa 15,5 – 16,5 Gmc. Nel 2021,
tuttavia, nello stesso periodo l’Italia aveva importato 18,6 Gmc. Si tratta di un
calo che varia dall’11 al 17% in tre mesi, destinata a prolungarsi sull’anno
prossimo anche in caso i flussi dalla Russia o quelli dalla Norvegia non
crollassero del tutto, e a peggiorare in caso contrario.
Se a ciò si aggiunge che, nell’autunno-inverno 2021/2022, le importazioni
italiane erano già state inferiori alla domanda di gas, tanto che a marzo
2022 gli stoccaggi erano più vuoti rispetto alla media degli anni 2015-2019, si
può ben comprendere la pressione a cui sarà sottoposto il nostro paese nel
corso di questo anno termico.
Come detto sopra, malgrado la diminuzione delle forniture russe (-23 Gcm/a
tra giugno e ottobre 2022, rispetto alla media del quinquennio 2015-2019) fino
a oggi l’Italia è riuscita a mantenere costanti le importazioni di gas grazie a
una relativa diversificazione dei fornitori. Fra l’apertura del TAP nel 2021
(+10,7 Gmc/a), l’aumento delle importazioni di GNL (+5,7 Gmc/a) e delle
forniture algerine (+7,7 Gmc/a), l’Italia sembrerebbe essere riuscita a
sostituire abbondantemente il deficit di forniture da Mosca.
A fronte di una ulteriore diminuzione delle forniture, tuttavia, le infrastrutture al
momento disponibili non consentirebbero praticamente nessuna ulteriore
diversificazione. Sia il gasdotto transadriatico (TAP), sia i tre
rigassificatori attualmente in funzione sono infatti utilizzati al massimo delle
loro possibilità, o addirittura sopra la loro capacità massima nominale. E Golar
Tundra, la nuova nave rigassificatrice da 5 Gmc/a acquistata da Snam per il
2023, non arriverà in Italia prima della metà dell’anno prossimo.
Inoltre, i due Paesi che avrebbero capacità di incrementare ulteriormente le
proprie forniture non sembrano essere in grado di farlo, almeno nel breve
periodo. Malgrado le richieste del governo italiano, infatti, le forniture
algerine non sono in ulteriore aumento rispetto all’anno scorso (la crescita
visibile nel grafico si riscontra solo rispetto al periodo 2015-2019). Così anche
la Libia, in cui l’instabilità politica e i consumi interni in aumento rendono
sempre più esigue le esportazioni.
Infine, le importazioni di provenienza europea, principalmente norvegesi,
soffriranno verosimilmente della necessità di soddisfare la domanda tedesca e
di altri paesi dell’Europa orientale (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia).
Complessivamente, c’è dunque il rischio che i flussi di gas verso l’Italia
diminuiscano ulteriormente anziché aumentare.
Ad oggi gli elevati prezzi energetici hanno già portato ad una diminuzione
volontaria dei consumi. Consumi che negli ultimi tre mesi (tra luglio e
settembre) hanno fatto segnare un –8,5% rispetto allo stesso periodo del
2021, con addirittura un –13% nel solo mese di settembre. Il calo è trainato
principalmente dagli usi diretti dell’industria (-19,2% negli ultimi tre mesi),
un settore con consumi stabili nel corso dell’anno e che nei mesi invernali
assorbe solo l’11-13% della domanda totale.
Durante l’inverno, infatti, il 55-60% circa della domanda nazionale proviene
dai consumi domestici, dei negozi e degli uffici. Per arrivare a primavera
senza intaccare le riserve strategiche nazionali e prepararci a un secondo
inverno probabilmente più duro di quello attuale (nel caso in cui i flussi russi
venissero a mancare nel corso dell’intero 2023), potrebbe risultare necessario
ridurre proprio i consumi di riscaldamento.
In quest’ottica, il Decreto Riscaldamento della settimana scorsa ha cercato di
giocare d’anticipo, posticipando il periodo di accensione autunnale e
riducendo le ore di possibile utilizzo dei sistemi di riscaldamento nell’arco della
singola giornata. Tuttavia saranno solo i primi mesi di accensione dei sistemi
di riscaldamento a darci un’indicazione effettiva di quanto gas gli italiani
saranno capaci di risparmiare, o di quanto invece il calo dei consumi raggiunto
in questi ultimi tre mesi (–8,5%) rischi di rivelarsi illusorio. Una situazione
che potrebbe rendere necessari ulteriori interventi governativi.
fonte:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.