ANALISI E COMMENTI – Formazione culturale e professionale: due pilastri per i cittadini del futuro

Formazione culturale e professionale: due
pilastri per i cittadini del futuro


Un’analisi della centralità di istruzione scolastica e apprendimento
lavorativo continuo. Necessario sviluppare il “work-life balance”, per
abbracciare la complessità delle esigenze individuali, lavorative e non
di Remo Lucchi, presidente Advisory board Eumetra Mr
Come suggerisce l’Agenda 2030, l’obiettivo prioritario che abbiamo è di vivere
bene la nostra vita, possibilmente in tutta la sua durata, quindi sia adesso che
in futuro. Considerando tutte le possibili variabili che possono intervenire e
assicurarci il raggiungimento di questo obiettivo, anche nel lungo termine –
obiettivo della sostenibilità – l’Agenda 2030 ritiene prioritarie due aree:
■ l’area dell’ambiente: il contesto in cui viviamo deve essere rispettato,
con grande attenzione, in ogni senso. Di per sé l’ambiente
sostanzialmente si auto-rispetta. La presenza di esseri umani, non del
tutto attenti, potrebbe invece creare problemi. Consideriamo peraltro
che la crescita potenziale di questi problemi è impressionante: nel 1800,
dopo milioni di anni, c’era solo un miliardo di persone; nel 1950, dopo
soli ulteriori 150 anni, le persone erano più che raddoppiate: 2,5
miliardi. Oggi, dopo altri 70 anni solamente, siamo più che triplicati: la
popolazione è di otto miliardi. Quindi elevate possibili complessità, e
richiesta di forte attenzione;
■ l’area della relazione tra gli individui: deve essere sempre adottata
una relazione positiva, guidata dal senso civico, dall’etica, dal rispetto
degli altri, e mai dalla contrapposizione. L’attenzione agli altri, e l’essere
disponibili ad aiuti in caso di necessità, rappresenta una condizione
fondamentale per raggiungere l’obiettivo vero che è il vivere bene.
Le due aree – “ambiente” e “relazione positiva con gli altri” – fanno tuttavia
molta fatica a essere rispettate. Questo significa che buona parte degli
individui non ha in mente il tema salvifico della sostenibilità. Dato che tutto ciò
non è accettabile, perché abbiamo solo questa vita da vivere, con l’obiettivo di
viverla bene, dobbiamo capire le cause, e individuare delle soluzioni di
rimedio adottabili nel breve termine.
Cosa ostacola
Sia l’ambiente che la relazionalità positiva hanno lo stesso “nemico”: l’assenza
di benessere mentale in una parte crescente della popolazione. Perché
l’assenza di benessere ostacola, e che cosa causa questa fenomenologia?
L’ostacolo deriva dal fatto che la situazione di infelicità porta l’attenzione solo
su sé stessi, con l’obiettivo di trovare rimedi nel più breve tempo possibile.
Quindi tutto ciò che è fuori da sé – gli altri, l’ambiente – non interessa; e inoltre
le attenzioni sono solo sul breve periodo, e non sul futuro.
Ciò che ha causato questa fenomenologia, che si sta verificando con questa
intensità per la prima volta nella storia, è una problematica abbastanza
complessa. Ha origine dal fatto che negli ultimi tre-quattro lustri le nuove
generazioni sono entrate nell’adultità con una istruzione completamente
diversa dalle generazioni precedenti, che erano totalmente incolte e
rassegnate.
Pur non completando la formazione – e questo è un problema – queste nuove
generazioni hanno comunque studiato fino alle medie superiori: hanno
raggiunto una certa “individualità” – prima erano solo “masse” – e un buon
senso critico. Non proseguendo gli studi, la centratura è però rimasta su sé
stessi. E sono entrati nell’adultità con il desiderio di partecipazione,
protagonismo, inclusione. Ma ciò è avvenuto in un periodo di complessità
sociale (globalizzazioni, crisi finanziarie), che ha purtroppo provocato la
caduta di queste nuove generazioni nel precariato.
Le conseguenze però non sono state accettate (diversamente dal passato,
caratterizzato da rassegnazione): forte senso di infelicità, forte centratura su
sé stessi, ribellione, populismo, contrapposizione, con l’unico desiderio di
risolvere i propri problemi al più presto. Quindi presso questi target, che oggi
rappresentano ormai la maggioranza, il tema della sostenibilità non viene
minimamente considerato, e all’interno delle aree della Sostenibilità:
■ il tema dell’ambiente è di totale marginalità: in questi segmenti, la
quota di individui coinvolti sul tema dell’ambiente non supera il 10%, a
fronte del coinvolgimento quasi totale (80-90%) rilevato nei segmenti di
elevato benessere;
■ il tema della relazionalità positiva non fa più parte della loro cultura:
vivono nella totale contrapposizione, non avendo come obiettivo le
soluzioni condivise, ma il contrasto e anche le paralisi.
Come rimediare
Il tema è di grandissima rilevanza, e si ha l’obbligo di dargli forte attenzione e
di trovare soluzioni. I problemi del futuro e della sostenibilità devono avere per
definizione la priorità su tutto, perché riguardano la vita.
La causa dominante, come abbiamo visto, risiede nell’incapacità delle nuove
generazioni di essere protagoniste, tanto quanto lo avevano desiderato.
Domina il senso di abbandono che percepiscono attorno a loro; contesto
distante dai sogni che si erano innescati con quella discreta formazione che
avevano raggiunto.
Non si sono capite due cose, per difetto di capacità diagnostica anche da
parte di chi gestisce il sistema:
■ obiettivo: l’individuo. Se si desidera creare un individuo adulto di valore,
bisogna sempre completare l’investimento di formazione culturale,
facendo capire che mentre le scuole medie superiori sviluppano solo “il
senso critico” la prosecuzione dell’istruzione aggiunge “senso civico ed
etica”, che fa scoprire anche “gli altri”, la loro essenzialità, e quindi la
relazionalità positiva. Senza la relazionalità non si produce vita;
■ obiettivo: il Paese. Se si desidera creare un vero Paese, questo
investimento formativo completo, che crea veri individui, è
fondamentale, perché le nuove generazioni sono l’unica ricchezza
futura che ha il Paese. E quindi aiutarle a proseguire gli studi è un
dovere del Paese, al di là delle risorse delle famiglie di appartenenza, il
più delle volte insufficienti. Per lo Stato non è un costo, ma un
investimento.
Quindi, l’unico vero investimento è la formazione completa degli individui:
■ possibilmente non solo culturale (scolastica) di cui si è parlato;
■ ma anche professionale, sulla quale ci soffermiamo più avanti.
La formazione culturale (scolastica)
La formazione culturale completa è sociologicamente fondamentale per
consentire ai giovani di entrare in una vera adultità rispettosa, collaborativa e
costruttiva.
Va comunque considerato che l’esigenza di formazione culturale
“completa” è un obiettivo sostanzialmente nuovo. Il valore della cultura deve
essere creato quasi ex-novo: bisogna investire sempre su di essa durante
tutto il percorso di formazione, iniziando dalla prima adolescenza, ed
esaltando sempre la desiderabilità della prosecuzione degli studi.
Per raggiungere questo fondamentale obiettivo, la scuola deve essere molto
vicina, aiutando anche gli studenti a risolvere eventuali difficoltà: deve essere
dalla loro parte, far evitare depressioni, ridare orgoglio in sé stessi, e
possibilmente iniettare capacità di resilienza, di avere capacità rigenerativa
anche in caso di difficoltà. E ciò in tutti i tipi di scuola, dalle medie superiori
all’università. Tutti ce la devono fare.
È indubbio che organizzare una formazione culturale completa, in molti casi
finanziata dallo Stato, richieda vera convinzione, e comunque un tempo
organizzativo non breve. Ci vogliono anni.
C’è però la possibilità di trovare soluzioni complementari – non sostitutive –
attraverso la formazione professionale. In termini ideali la formazione
professionale dovrebbe innestarsi “dopo” la formazione culturale/scolastica.
Tuttavia un contributo veramente importante potrebbe darlo anche agendo in
modo indipendente.
La formazione professionale
La formazione professionale in sé è fondamentale. Sarebbe ottimale se
venisse “aggiunta” alla formazione culturale basica, ma la sua
indispensabilità non sarebbe mai messa in discussione, in ogni caso.
Viene definita formazione professionale, ma in realtà si tratterebbe di una
formazione dell’individuo che entra nell’adultità in quanto individuo ed in
quanto lavoratore.
Questo tema, di cui si dovrebbe occupare l’azienda in cui si lavora, è stato
molto studiato nelle ricerche sociali, e per i lavoratori è risultato uno dei temi
più interessanti in assoluto.
Analizzando tutte le possibili declinazioni di questa formazione, un massimo di
propensione – e di riconoscenza – è rilevabile per i cosiddetti interventi di
“work-life balance”, che prevedono che l’individuo sia considerato nella sua
complessità di esigenze, non solo nel contesto lavorativo.
L’essere a fianco a questi soggetti, mettendo a disposizione anche
consulenza per le più varie esigenze della vita privata, oltre ovviamente alla
formazione professionale, sollecita un senso di gratitudine davvero profondo,
soprattutto se si rende chiaro che l’investimento che viene fatto ha l’obiettivo
prioritario di arricchire in tutti i sensi il lavoratore.
Si tratta di uno degli investimenti più interessanti in assoluto, con ritorni certi
sia per l’impresa in cui si lavora, sia per il Paese o la società in generale:
■ l’impresa: è colei che ha organizzato – investendo – questa nuova
“ricchezza” per gli individui lavoratori. È vero che i destinatari di questi
sforzi sono i lavoratori, ma è altrettanto vero che i ritorni finali sono per
le aziende che hanno investito; e nelle analisi fatte, nel medio termine i
ritorni per le imprese sono ben più elevati degli investimenti fatti;
■ la società in generale: questi tipi di investimento hanno anche un
incredibile risultato sociale, soprattutto poi se adottati da un numero
elevato di imprese. Offrono contentezza sociale, riducono le
depressioni, aumentano il benessere, riducono le contrapposizioni
sociali (ci deve essere coscienza che il Sistema Sociale abbia avuto un
ruolo importante nell’iniziativa), aumentano la percezione positiva del
contesto sociale, ed aumenta la disponibilità a considerare l’importanza
del tema della Sostenibilità.
Una nota sulla formazione professionale coordinata dalle
imprese
Quindi le imprese dovrebbero assumersi il ruolo della formazione. L’unico
problema che può nascere è connesso alla capacità di essere
corretti/adeguati nelle decisioni e negli indirizzi da adottare. Con elevata
probabilità c’è bisogno di aiuto. Nelle grandi aziende non c’è più
l’imprenditore, e il tutto è sostanzialmente governato dalla finanza e dalle
logiche finanziarie di breve periodo. Nelle ricerche sociali condotte presso i
responsabili delle risorse umane (Hr) emergono costantemente
preoccupazioni connesse agli investimenti necessari. Spesso si constata
la percezione da parte delle Hr di essere un po’ sole nelle decisioni, di sentirsi
a volte un po’ abbandonate, non aiutate nel trovare le migliori soluzioni. Si
tratta in genere più di logiche finanziarie che di contenuti: il più delle volte si è
constatato che le Hr hanno ben chiaro il contenuto che deve avere la
formazione: i destinatari sono individui che hanno una vita privata con
specifiche esigenze, e una vita professionale con esigenze formative a 360
gradi.
Nelle piccole aziende, che sono la grande maggioranza in Italia, c’è
l’imprenditore che prende le decisioni, e che il più delle volte agisce in
autonomia. Però non necessariamente ha una cultura formativa, necessaria a
prendere le decisioni più opportune. Quello che si è constatato è che le
decisioni vengono spesso prese in funzione più di specifiche necessità
aziendali di breve termine, che non di “ampia” formazione dell’individuo.
In altri termini è probabilmente auspicabile che il tema venga sostenuto e
abbia l’appoggio consulenziale delle Entità associative di riferimento, sia per
l’ottimizzazione delle soluzioni da adottare, che – nel caso – per le necessità
finanziarie.

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