Guerra Ucraina. Impennata materie prime, il
prezzo dei suini sale del 25 per cento
La guerra in Ucraina condiziona anche il mercato della carne di
maiale.
Con la continua impennata delle materie prime e la carenza di prodotto il
prezzo pagato agli allevatori sta salendo vertiginosamente, tanto che potrebbe
schizzare da 1,50 a 2 euro al chilogrammo. E potrebbe non essere finita. C’è
infatti il rischio che il prezzo salga ancora, con un conseguente calo dei
consumi dato che una bistecca o una braciola potrebbero arrivare a costare il
20-30 per cento in più.
“La situazione è preoccupante su tutti i fronti – sottolinea Rudy Milani,
presidente della sezione allevamenti suini di Confagricoltura Veneto -. C’è
carenza di carne suina a livello europeo perché, tra aumento dei costi
energetici e restrizioni normative, le strutture zootecniche hanno ridotto la
produzione e perciò il prezzo della carne sale. Se non si raggiungerà un punto
di equilibrio sui costi delle materie prime, le quotazioni potrebbero arrivare
addirittura a raddoppiare, ma il consumatore ce la farà poi a comprare?
Noi comunque oggi, nonostante la carne ci venga pagata di più, stiamo
lavorando in perdita, perché gli introiti non coprono le spese di
produzione. Inoltre sui mangimi c’è un problema di reperimento e
speculazione. Dall’Ucraina e dalla Bulgaria non arriva più nulla e quello che si
riesce a reperire sul mercato nazionale si paga come l’oro, oltretutto con
bonifico anticipato o soldi a pronta consegna. Il mais è passato da 180 a 420
euro la tonnellata; il frumento e l’orzo da 200 a 430-450 la tonnellata; la soia
proteica da 360 a 650 euro la tonnellata. In queste condizioni saremo costretti
a indebitare le aziende, oppure a mandare al macello gli animali per evitare
che muoiano di fame”.
Molta apprensione anche per la possibile paralisi della movimentazione di
animali e derrate alimentari in caso di blocco dei trasporti. “Siamo solidali con
gli autotrasportatori perché l’aumento del prezzo dei carburanti è inaccettabile
– dice Milani -. Tuttavia non sarebbe sostenibile, per la filiera zootecnica,
sostenere anche uno stop dei camion e quindi della nostra attività. Abbiamo
scorte di mangimi dai 20 ai 30 giorni, non possiamo rischiare che siano messi
in pericolo anche gli approvvigionamenti di prodotti destinati all’alimentazione
animale, con grave rischio per il loro benessere e la loro salute. Ci auguriamo
che questa guerra apra gli occhi sull’importanza del settore primario, che in
questi anni è stato continuamente bistrattato con politiche agricole a livello
europeo che hanno portato a ridurre la produzione a livello nazionale”.