Le basi simboliche di una società
policentrica
di Vittorio Pelligra
La tensione tra libertà individuale e benessere collettivo
rappresenta l’essenza di ogni dilemma sociale, la sfida più grande
per ogni comunità
Un dilemma sociale è una situazione nella quale interesse collettivo e
interesse privato divergono. È una situazione nella quale, se tutti gli individui
mettessero al primo posto l’interesse privato questo, alla fine, porterebbe
risultati peggiori sia dal punto di vista collettivo che anche da quello privato.
In Sardegna la pesca dei ricci di mare è stata vietata fino al 2024. Ogni
pescatore ha interesse a che i ricci abbondino. Ma ha ancora più interesse,
quando sono abbondanti, a pescarne il più possibile. Ma quando tutti
ragionano e si comportano in questo modo quella stessa risorsa comune
viene messa in pericolo con un danno per tutti. Questa tensione tra libertà
individuale e benessere collettivo rappresenta l’essenza di ogni dilemma
sociale, la sfida più grande per ogni comunità, indipendentemente dalla scala
alla quale si svolge, che sia tratti del dividersi il lavoro in famiglia o tra colleghi
o che riguardi gli accordi globali per la riduzione delle emissioni di gas serra in
atmosfera. La logica è la stessa.
Cooperare per il bene pubblico
Il public good game, come abbiamo visto nelle scorse settimane, è il
paradigma sperimentale che viene utilizzato dagli scienziati comportamentali
per studiare la logica sottesa a situazioni di questo tipo. In un public good
game, infatti, tutti traggono vantaggio dalla piena collaborazione ma, proprio
quando tutti collaborano, chi decidesse di non fare la sua parte e di
comportarsi opportunisticamente da free-rider, starebbe ancora meglio. Come
è facile intuire, se tutti, però, decidessero di fare i free-rider, alla fine tutti
starebbero molto peggio. Ed è proprio quello che tipicamente si osserva in
laboratorio. Le persone iniziano cooperando, facendo la loro parte nella
produzione del bene pubblico, ma poi, una volta osservate le prime scelte
opportunistiche, queste diventano contagiose determinando un lento ma
inesorabile decadimento nei livelli di cooperazione, fino alla sua completa
scomparsa.
Gli strumenti
Per facilitare la cooperazione, dunque, esistono due strumenti: una
governance centralizzata, come nel caso del divieto di pesca dei ricci, dove le
violazioni delle norme vengono punite attraverso sanzioni imposte da
un’autorità centrale che deve monitorare ed intervenire, oppure una
governance decentralizzata, che viene definita anche community governance,
dove controllo il controllo viene esercitato da tutti i membri della comunità e le
sanzioni possono essere erogate non da una singola autorità centrale, ma,
anche in questo caso, dai membri stessi del gruppo. Abbiamo visto nelle
scorse settimane quanto negli esperimenti di laboratorio si dimostri efficace
l’introduzione della possibilità della punizione tra pari: la cooperazione cresce
immediatamente verso livelli ottimali e alla fine non è neanche più necessario
punire, visto che è sufficiente il potere deterrente della punizione a indurre tutti
alla cooperazione. Naturalmente, in concreto, può essere complicato attribuire
ai singoli cittadini il potere di comminare una sanzione pecuniaria agli altri
cittadini trasgressori. Ma questo è vero solo per le sanzioni di natura
monetaria. Occorre tenere presente, però, che questa è solo una delle
possibili forme in cui una sanzione o una punizione possono manifestarsi.
Gossip e reputazione
Sono molti gli studi che mostrano come, nell’ambito di piccole comunità,
invece che attraverso l’uso di sanzioni materiali, la cooperazione viene
promossa attraverso il gossip e l’effetto negativo o positivo che le informazioni
veicolate attraverso relazioni di prossimità sulla reputazione individuale. È
anche attraverso questi strumenti che gruppi più piccoli riescono a superare
molti dei dilemmi sociali che sono chiamati ad affrontare: pettegolezzi e
reputazione, piuttosto che sanzioni costose.
E i gruppi più grandi? Abbiamo visto la settimana scorsa il caso della città di
Bogotà e l’esperimento sociale avviato dal sindaco Antanas Mockus con la
distribuzione alla popolazione di 350.000 cartellini bianchi con il pollice in su e
altrettanti di colore rosso con impresso un pollice in giù. I cartellini potevano
essere utilizzati da ogni cittadino per approvare o disapprovare pubblicamente
il comportamento di ogni altro concittadino in ambito pubblico, per le strade,
negli uffici, nelle scuole, eccetera. Era questo un meccanismo di ricompensa e
di sanzione decentralizzato, una forma di community governance basata su
ricompense e su sanzioni di natura simbolica.
L’efficacia delle sanzioni
Ma qual è l’efficacia di queste sanzioni nel promuovere elevati livelli di
cooperazione nell’ambito dei dilemmi sociali? A giudicare da quanto
ordinatamente gli inglesi fanno la fila e dalla pulizia delle strade dei paesini di
montagna svizzeri, sembra proprio che in molti casi anche le sanzioni
simboliche possano essere piuttosto efficaci.
primi ad indagare sperimentalmente questo punto sono stati David Masclet e i
suoi colleghi francesi. Nel loro studio vengono confrontati un public good
game senza punizione e con punizione con una terza versione dove, dopo
aver osservato il comportamento degli altri, ogni giocatore può assegnare da
zero a dieci punti a ciascun altro giocatore.
Questi punti non comportano nessun costo né per chi li riceve, né per chi li
assegna. Rappresentano semplicemente un segno di disapprovazione rispetto
al comportamento degli altri.
Una forma di sanzione immateriale e totalmente simbolica. I risultati di Masclet
e colleghi mostrano che, così come le sanzioni monetarie, anche quelle
simboliche producono un aumento del livello di cooperazione anche se le
sanzioni materiali risultano essere, nel lungo periodo, più efficaci (Masclet, D.,
Noussair, C., Tucker, S., Villeval, M.-C. (2003). “Monetary and Nonmonetary
Punishment in the Voluntary Contributions Mechanism”. American Economic
Review 93, pp. 366–380).
Le ragioni che stanno alla base dell’efficacia delle sanzioni non-monetarie non
sono del tutto note, ma alcuni studi portano supporto alla tesi secondi cui
semplicemente non ci piace essere criticati (López Pérez, R., Vorsatz, M.,
(2010). “On Approval and Disapproval: Theory and Experiments”. Journal of
Economic Psychology 31, pp. 527–41).
L’effetto delle raccomandazioni
L’economista indiano Ananish Chaudhuri assieme al suo collega indonesiano
Tirnud Paichayontvijit hanno condotto qualche anno fa un interessante
esperimento per studiare l’effetto delle raccomandazioni sempre nell’ambito di
un public good game.
All’inizio di ogni round ogni partecipante riceve una certa dotazione monetaria
che può trattenere o versare tutta o in parte in un fondo comune. I contributi
investiti nel fondo comune vengono poi raddoppiati e ridistribuiti equamente
tra i membri del gruppo.
L’ottimo sociale si ottiene quando tutti contribuiscono con l’intera dotazione al
fondo comune ma, proprio in questo caso, l’interesse individuale, invece,
suggerirebbe di cercare di godere dei benefici comuni senza sopportarne i
costi e quindi di trattenere per sé l’intera dotazione. Se tutti decidessero di fare
questo stesso ragionamento il bene pubblico non verrebbe prodotto a danno
di tutti.
Nel primo trattamento implementato da Chaudhuri e Paichayontvijit i giocatori
giocano il gioco standard. Nel secondo trattamento, invece, viene introdotta la
possibilità di punire gli altri giocatori in maniera costosa, nel terzo trattamento,
infine, dopo una serie di dieci round, ogni giocatore riceve un messaggio di
esortazione alla cooperazione che viene anche letto ad alta voce dallo
sperimentatore.
Quello che emerge dai loro dati è che, rispetto alle punizioni monetarie, le
raccomandazioni hanno un effetto immediato nell’innalzare i livelli di
cooperazione. Tuttavia, anche in questo caso, l’effetto diminuisce nel tempo
(Chaudhuri, A., Paichayontvijit, T., 2017. “On the long-run efficacy of
punishments and recommendations in a laboratory public goods game”.
Scientific Reports 7, 12286).
Sanzioni simboliche e materiali
Questo vuol dire che le sanzioni simboliche o le esortazioni non potranno mai
sostituire le sanzioni materiali? In realtà questo dipende da una serie di fattori:
innanzitutto dal rapporto costi-benefici di queste ultime, quanto costa cioè
punire rispetto all’effetto positivo che viene esercitato sulla cooperazione; in
secondo luogo, dalla lunghezza dell’orizzonte temporale. Le sanzioni
simboliche funzionano meglio nel breve periodo mentre quelle materiali nel
lungo periodo.
È chiaro che ci sarà sempre un orizzonte temporale per il quale le punizioni
supereranno gli altri meccanismi in termini di efficienza. Ma le proprietà di
miglioramento dell’efficienza delle punizioni formali richiedono tempo per
affermarsi, mentre gli appelli alla buona volontà hanno un impatto molto più
immediato. Anche in questo caso Mockus, il sindaco di Bogotá, ci aveva visto
giusto.
Per indurre i suoi cittadini al risparmio ico era apparso in uno spot sotto la
doccia dove, ancora insaponato, chiudeva il rubinetto. Questa sola
esortazione simbolica al risparmio fu efficacissima e portò ad una riduzione
del consumo del 14 per cento in pochi mesi. Solo dopo vennero introdotti gli
incentivi monetari per chi decideva di modernizzare gli impianti. Incentivi che
portarono ad una ulteriore riduzione del 40%.
Il messaggio di questi studi, dunque, è che gli aspetti simbolici – sanzioni,
ricompense, approvazione, disapprovazione – non sono sostituti degli aspetti
materiali, ma possono agire come complementi ed in maniera congiunta per
rafforzarne l’effetto. In questo modo si possono implementare, anche su larga
scala, politiche di community governance caratterizzate da costi inferiori e da
maggiore efficacia rispetto alle tradizionali misure di governance centralizzata.
Una visione policentrica e multilivello dell’esercizio del governo che sfida, su
solide basi, le spinte neo-centraliste oggi dominanti.
fonte: SOLE 24 ORE