Mobilità urbana sostenibile: i quattro
megatrends
di Tobia Zevi
Uno dei corollari della legge di Murphy è che ogni soluzione genera nuovi
problemi. Oggi potremmo dire, però, che tutti i problemi sembrano
spingerci verso la stessa soluzione: la crisi energetica, la pandemia, il
riscaldamento globale ci impongono di ripensare le nostre città in termini di
resilienza. A partire dal più strategico di tutti i settori energivori: il trasporto
urbano.
La sfida è enorme, se pensiamo che attualmente sono urbani i due terzi circa
di tutti i chilometri percorsi su scala globale, un dato che tende ad aumentare.
Con i trasporti che generano inoltre il 24% delle emissioni globali. La
questione degli spostamenti urbani ci coinvolge in quanto abitanti della
metropoli, ma è diventata centrale anche per molte aziende e piani
industriali.
Un business da un trilione di dollari
I sistemi di trasporto urbano si rivelano sempre più complessi e integrati,
muovendo un numero di mezzi e soluzioni crescenti. Si va dal trasporto
pubblico allo sharing di automobili, motorini, biciclette, monopattini; si passa
dal noleggio a medio e lungo termine al classico mercato automotive, per
approdare ai veicoli elettrici, ai taxi, alle aziende tipo Uber, fino alle
applicazioni che monitorano il traffico per calcolare i percorsi migliori oppure
attraverso un’offerta intermodale. A ciò si aggiunge il crescente interesse per
la cosiddetta mobilità attiva (pedoni e biciclette), per cui si progettano corsie
stradali protette. E, infine, i veicoli a guida autonoma.
L’acronimo MADE racchiude tutto in quattro mega-trend: New Mobility,
Autonomous driving, Digitalization, Electrification. Tutte soluzioni che
presuppongono il coinvolgimento di un numero di attori molto maggiore
rispetto a pochi anni fa: oltre ai più classici settori automobilistico,
assicurativo, trasporto pubblico e finanziario, entrano in campo in modo
sempre più importante il retail, le telecomunicazioni, il settore medico-legale e
soprattutto i settori dell’Information Technology e quello energetico. Il tutto per
un valore di mercato globale stimato di un trilione di dollari nel 2025.
Da alternativa a unico scenario possibile
Una cosa è chiara. Man mano che aumentano le prove sulle conseguenze del
cambiamento climatico, il futuro della mobilità è sempre più intrecciato a
quello della sostenibilità. Una mobilità sostenibile non è più un’alternativa,
ma l’unico scenario possibile, ed è anche un mercato altamente appetibile.
Ma, se resilienza nei trasporti è diventata uno dei primi obiettivi
dell’agenda globale, quali sono le sue caratteristiche? La complessità della
definizione è inversamente proporzionale a quanto questo termine sia ormai
inflazionato: “resilienza” è capacità adattiva alle condizioni date.
Un importante organismo sovranazionale, la Global Facility for Disaster Risk
and Recovery (GFDRR), gestito dalla Banca Mondiale, sintetizza due
obiettivi fondamentali: 1) creare solidi sistemi di trasporto resilienti,
accessibili e inclusivi; 2) ridurre il rischio di mancato ritorno sugli investimenti,
e fare passi avanti verso la riduzione della povertà a lungo termine. In pratica
si sa dove si vuole arrivare, ma la formula corretta va trovata caso per caso.
Diventa quindi importante poter misurare come le città stanno investendo
e si stanno organizzando per rendere le loro reti più verdi e più sane. E
quindi analizzare il mix di investimenti urbani e infrastrutturali tipicamente a
lungo termine con quelli smart e di impatto a breve e medio termine.
Il laboratorio Pandemia
Da questo punto di vista la pandemia è stata un laboratorio. Obbligandoci
ad adottare soluzioni prima impensabili, ci ha mostrato che le nostre città
potrebbero essere meno affollate e congestionate. Ha spiegato i vantaggi di
adottare un modello di città multicentrico. Ha permesso di sperimentare
misure controverse come la limitazione delle auto. Ci ha fatto rivalutare il ruolo
del governo e delle autorità nella gestione della crisi, e la loro capacità di dare
forma a una visione. Infine, ha fornito un’opportunità unica per plasmare il
futuro della mobilità: accelerando l’innovazione e riportando l’uomo, non il
mezzo, al centro della scena.
In uno studio sulla mobilità post COVID-19 condotto dall’UITP (The
International Association of Public Transport), in collaborazione con Arthur D.
Little, vengono identificate tre priorità assolute che i governi locali, insieme
ai privati, debbono mettere in atto per accelerare il cambiamento: pensare e
agire a livello di sistema, e quindi definire una visione e una strategia
coerenti che considerano tutte le infrastrutture, le risorse, le reti, i modi e gli
utenti come un unico sistema; promuovere l’innovazione attraverso
collaborazioni pubblico-privato su tecnologia e modelli di business
innovativi; utilizzare un modello di gestione della mobilità unificato in
chiave Maas (Mobility as a service), che consenta di ottimizzare in tempo
reale flussi e asset, e permetta agli utilizzatori di spostarsi in un sistema
intermodale.
Chi guida la sostenibilità
L’Oliver Wyman Forum, in collaborazione con l’Università di Berkeley,
California, ha presentato l’edizione 2021 dell’Urban Mobility Readiness Index:
si tratta di una classifica che mira a identificare le città che guideranno la
corsa alla resilienza. Quelle analizzate sono tutte metropoli che
rappresentano importanti economie locali, con forte una spinta
all’innovazione nell’ambito della mobilità e che hanno beneficiato della
riconfigurazione del lavoro causata dal Covid-19. L’indice tiene conto di sei
dimensioni: infrastrutture, impatto sociale, attrattività, efficienza, innovazione
e sostenibilità. Spiccano Stoccolma e San Francisco, due modelli molto
differenti.
Robotaxi in California
San Francisco, nel suo Climate Action Strategy, si propone di ridurre le
emissioni a zero entro il 2050. Questo significa ridisegnare completamente il
sistema di trasporto urbano, che oggi, da solo, genera circa la metà del totale
di emissioni cittadine. La strategia si basa sulla creazione di corridoi protetti
dedicati alla mobilità attiva (biciclette e pedoni), sulla riduzione delle auto
private, e sul passaggio all’elettrico con l’obiettivo del 100% entro il 2040.
Ma la parte del leone la faranno i veicoli a guida autonoma: flotte di mezzi
telecomandati, collegate e condivise, alimentate con energia rinnovabile e
data driven. Due i vantaggi fondamentali: il primo è la riduzione dei
consumi, grazie all’ottimizzazione dei percorsi che ridurrà il traffico. Un
sistema in grado di elaborare in tempo reale il modo più efficiente di spostare
le persone, evitando gli sprechi. Il secondo effetto positivo sarà quello di
restituire spazi alla città: liberando parcheggi, ma soprattutto strade e corsie
che potranno essere convertite e restituite alla mobilità attiva.
Un futuro che diventa sempre più concreto. A marzo 2022 Waymo, società
di veicoli autonomi di proprietà di Alphabet (Google), ha iniziato a offrire un
servizio di Robotaxi, per ora riservato ai suoi dipendenti di San Francisco. Si
tratta del primo esperimento in città di guida completamente autonoma, senza
autisti di supporto. L’ultimo passo prima di offrire al grande pubblico un
servizio completamente autonomo in un ambiente urbano complesso.
Muoversi Car Free
Una città senza macchine: è quello che vuole essere Stoccolma, una delle
città in più rapida crescita demografica del mondo. Attualmente la capitale
svedese è dotata di un sistema di trasporto pubblico altamente efficiente e
intermodale. Per un utente è infatti molto semplice passare da una
metropolitana a un tram, a un treno pendolare a un traghetto fino alla
micro-mobilità, con un’unica tariffa e con pochissime attese. Questo è
possibile grazie a una gestione integrata di tutto il sistema, tanto che i
cittadini possono facilmente rinunciare al mezzo privato: ben otto viaggi su
dieci sono effettuati in autobus, tram, treno, metropolitana e traghetto.
Altro motivo di vanto: già oggi il 100% dei trasporti pubblici terrestri è
alimentato da combustibili ecologici. Le biciclette sono considerate un
mezzo di trasporto vero e proprio, con piste ciclabili progettate in modo
intelligente. Un fatto che non va dato per scontato: il 38% dei decessi stradali
nella UE si verifica nelle aree urbane, e il 70% delle vittime della strada sono
pedoni e ciclisti.
Per il 2040 Stoccolma prevede un futuro basato essenzialmente sul
trasporto pubblico, 100% car free, ovviamente data driven e dove l’attesa
massima per un mezzo pubblico è di tre minuti.
Tutti in riga
Una menzione speciale in tema di infrastrutture, e di dirigismo statale non
propriamente liberale, merita “The Line”, il progetto saudita di aggregato
urbano che si sviluppa lungo un asse lineare di circa 170 km., attraversando
quattro regioni dal deserto al mare, con l’idea di fondere tecnologia, natura e
sostenibilità a partire dalla città artificiale di Neom. Le comunità multiple e
iperconnesse che abiteranno lungo la linea avranno accesso a un sistema di
trasporto ultraveloce, integrato anche con servizi di supporto:
infrastrutture digitali e logistica. Tutto sarà alimentato da vari tipi di energia
rinnovabile, creando un ambiente libero dall’inquinamento e in armonia con la
natura, e i vari servizi saranno raggiungibili a piedi nel giro di cinque minuti.
Un progetto avveniristico e quasi fantascientifico che ricorda un po’ i
deserti supertecnologici delle ambientazioni di Guerre Stellari, senza alcuno
spazio per automobili e deviazioni.
Quanto può diventare intelligente una città?
L’intelligenza è, in fondo, la capacità di connettere dati, convertirli in
conoscenza e applicarli per affrontare e risolvere con successo i problemi che
si pongono. Anche l’intelligenza di una città e di un sistema di trasporto può
essere definita allo stesso modo?
Secondo un’analisi di Roland Berger condotta su 153 aree urbane del globo,
risulta che il 90% delle città non ha una strategia integrata. Un piano di
mobilità elettrica, ad esempio, dovrebbe essere allineato coi sistemi di
gestione del traffico e alimentato tramite grid di ultima generazione.
Evidentemente c’è ancora molto da fare. In un’epoca in cui tutti siamo
iper-connessi, colpisce che sia così: la soluzione non può che essere, quindi,
trasformare l’intelligenza individuale di ognuno di noi in un sistema di
intelligenza collettiva, in cui i dati che produciamo siano messi a disposizione
di obiettivi condivisi, progetti e città più verdi, democratiche e inclusive.
fonte: ISPI