Pensioni, cosa cambia nel 2024? Arriva Quota
104, super rivalutazioni, donne e premi per chi
resta al lavoro
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Confermata Quota 103 (con penalizzazioni) e debutta
Quota 104
Pensioni, come si uscirà dal lavoro nel 2024? Quota 103 diventa Quota 104:
per uscire prima dal lavoro, dal prossimo anno ci vorrà un anno di più.
Dunque, si dovrà dire addio quindi ai 62 anni come requisito per fare
domanda per l’uscita anticipata (com’è stato nel 2023) e ci vorranno almeno
63 anni. Così, il governo Meloni ha deciso nella legge di Bilancio
approvata il 16 ottobre.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato durante la
conferenza stampa che «per Quota 103 abbiamo alzato i requisiti di età
anagrafica fermo restando i 41 anni di contributi per accedere alla pensione».
Il titolare del Mef ha poi aggiunto: «C’è la modifica del requisito e non delle
finestre». Insomma, secondo Giorgetti non si tratta di una «Quota 104 piena:
c’è un meccanismo di incentivi a permanere al lavoro e una penalizzazione
per quelli che decidono di andare in pensione prima».
Le scarse risorse hanno portato così il governo Meloni non solo a
rinunciare alla cancellazione della tanto odiata legge Fornero, ma a
inasprire i requisiti per lasciare il lavoro prima dei 67 anni di età.
Un’altra (piccola) novità è data dall’accorpamento di Ape Sociale e Opzione
Donna in un unico fondo per la flessibilità in uscita dal lavoro e l’anticipo al
primo novembre del conguaglio delle pensioni.
Ma vediamo più nel dettaglio cosa c’è e cosa non c’è alla voce “pensioni” in
questa Manovra 2024.
La proroga di Quota 103 (che diventa una quasi Quota 104)
Come detto, Quota 103 “peggiora” e diventa una Quota 104.
Di tutte le possibili iniziative di ritocco del sistema pensionistico, il rinnovo di
Quota 103 (la pensione anticipata flessibile introdotta dalla legge di Bilancio
2023 e che doveva andare in pensione al 31 dicembre, termine entro il quale
si doveva avere maturato 62 anni di età e 41 anni di contributi) era apparsa fin
dall’insediamento del governo Meloni come quella più probabile, nonostante i
proclami della Lega su Quota 41 e la promessa di abolire la legge Fornero.
E il perché è presto detto: è la misura (temporanea) con i costi più
accettabili.
Il motivo di questa «convenienza» risiede nella relativamente limitata platea
dei potenziali aventi diritto. Con Quota 103 è infatti richiesto un minimo di 41
anni di contribuzione minimi, che non è poco, obiettivo che è raggiungibile in
prevalenza da lavoratori dipendenti con carriere stabili e continue nel tempo.
Dunque, sarà ancora possibile uscire con Quota 103 ma si dovranno
prevedere dei disincentivi che peseranno sull’assegno.
Chi invece uscirà con Quota 104 avrà diritto a un premio, che andrà a tutti
coloro che decideranno di continuare a lavorare fino alla pensione di
anzianità: si stratta del cosiddetto Bonus Maroni (leggi qui per saperne di
più). Ovviamente, questo anno in più senza penalizzazione prima di poter
andare in prepensionamento risulta meno costoso per le casse dello Stato,
ma è un piccolo schiaffo alla sbandierata staffetta generazionale.
Addio ad Ape Sociale e Opzione donna: arriva il Fondo per
la flessibilità in uscita
Nella scorsa legge di Bilancio, l’Ape sociale era stata rinnovata così com’era
nel 2022. Ora, ha annunciato in conferenza stampa la premier Meloni, «Ape
sociale e Opzione donna vengono superate e accorpate in un unico
fondo per la flessibilità in uscita che consente di andare in pensione a 63
anni con 36 anni di contributi per (i maschi) caregiver, disoccupati, impegnati
in lavori gravosi e disabili, mentre per le donne è di 35 anni». Secondo le
stime dell’Osservatorio Previdenza di Cgil e Fondazione Di Vittorio nel corso
del 2023 solo 25 mila lavoratori avranno utilizzato i canali di uscita anticipata
Quota 103, Opzione Donna e Ape sociale.
Conguaglio delle pensioni già a novembre
Il decreto legge fiscale varato il 16 ottobre dal Consiglio dei ministri ha
previsto, tra le altre cose, anche l’anticipo del conguaglio della perequazione
dei trattamenti pensionistici: lo 0,8% (quello già applicato era del 7,3%)
necessario per recuperare l’inflazione effettiva del 2022, dell’8,1%, con tanto
di arretrati, sarà pagato già «in via eccezionale» al primo novembre 2023». Si
tratta del conguaglio dell’indicizzazione dei trattamenti: lo 0,8% necessario a
recuperare l’inflazione effettiva del 2022 (8,1%) a dicembre, anziché a
gennaio, come da consuetudine.
Il conguaglio sarà “a fasce”, introdotto dal governo Meloni nella sua prima
manovra (e meno vantaggioso di quello a scaglioni voluto da Prodi e
ripristinato dal governo Draghi) e questo significa che sarà riconosciuto per
intero solo alle pensioni fino a 4 volte la minima (2.100 euro lordi
mensili).
Sopra a questo tetto, il recupero non è più al 100%, ma progressivamente
scende la sua percentuale all’aumentare dell’assegno, come era stato già
previsto e dalla legge di Bilancio 2023, ossia: