Come l’economia circolare diventa volano della
transizione ecologica
Delle potenzialità di un settore necessario e redditizio parla uno studio
realizzato da A2A e The European House – Ambrosetti. Che prevede la
necessità di 31-38 nuovi impianti di trattamento, di cui l’80% nel centro-sud,
recuperando materia (compost) ed energia (biogas)
Sull’emergenza rifiuti aveva scritto qualche tempo persino Beppe Grillo sul
suo blog, usando toni e contenuti sorprendentemente diversi dal velleitario
“rifiuti zero”, che ha sempre contraddistinto il pensiero grillino fermo sul veto
ideologico agli impianti per trattare, riciclare, trasformare gli scarti domestici
che ammontano a 30 milioni di tonnellate annue .
All’estero la spazzatura italiana esportata e trasformata in energia produce
ricchezza (pagata dagli italiani), la stessa che in Italia potrebbe costituire un
business interessante, ed è spesso sfruttata dalle ecomafie.
La carenza di impianti legali favorisce quelli illegali. Il comico genovese
propone di usare la leva fiscale per favorire i materiali riciclati e promuovere il
recupero energetico con bioraffinerie. Invece di giacimenti, nei digestori
anaerobici, il metano può essere estratto dalla fermentazione di rifiuti organici
e fanghi dei depuratori. Che poi costituisce una delle forme più avanzate e
sostenibile di economia circolare.
Ben venga il ravvedimento di Grillo, sperando che sia recepito dai
Cinquestelle, perché proprio delle potenzialità di un settore così necessario
quanto potenzialmente redditizio, si parla nello studio “Da NIMBY a PIMBY:
economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del
Paese e dei suoi territori”. Realizzato da The European House – Ambrosetti in
collaborazione con A2A, la utility ambientale guidata da Renato Mazzoncini.
Il report gioca sull’acronimo nimby (non in my backyard, non nel mio giardino)
tipico dell’atteggiamento di molte popolazioni relativmente agli insediamenti di
impianti di gestione dei rifiuti, sostenenendo che possa trasformarsi in un
Pimby (please, per favore, fatelo nel mio giardino). Perché?
Il position paper sintetizza il caos rifiuti nazionale in tre cifre e un allarme.
La capacità residua delle discariche si esaurirà nei prossimi tre anni (con
differenze significative tra Nord che regge fino a 4,5 anni, e Sud saturo in 1,5
anni).
Il deficit impiantistico allontana l’Italia dall’obiettivo europeo che fissa al 10% il
conferimento di rifiuti urbani in discarica al 2035 mentre l’Italia è nell’ordine del
21%.
I rifiuti urbani conferiti in discarica dagli italiani (106 kg per abitante)
equivalgono, secondo alcune stime, ai conferimenti complessivi della
Germania e altri 15 paesi europei.
Rilevanti le carenze nel trattamento della cosiddetta Forsu (Frazione Organica
del Rifiuto Solido Urbano) e il recupero energetico.
Pertanto, lo studio prevede la necessità di realizzare 31-38 nuovi impianti di
trattamento, di cui l’80% nel centro-sud, per il trattamento della frazione
organica recuperando materia (compost) ed energia (biogas).
Per allinearsi con la media europea del recupero energetico dalla spazzatura
come fonte alternativa ai fossili, sono necessari secondo il rapporto, sei-sette
termovalorizzatori per i rifiuti urbani.
Notevoli sarebbero i benefici derivabili dal superamento dei problemi legati
alla gestione dei rifiuti in Italia, sia dal punto di vista economico che
ambientale.
A fronte di un investimento tra 4-4,5 miliardi di euro, l’analisi quantifica in 11,8
miliardi di euro di indotto economico, con un gettito per lo stato di 1,8 miliardi
di euro e una riduzione della Tari per le famiglie superiore a 550 milioni di
euro. Dal punto di vista ambientale, lo studio giunge alla conclusione che il
colmare il gap impiantistico per il recupero energetico dei rifiuti urbani e dei
fanghi di depurazione permetterebbe un risparmio netto complessivo di 3,7
milioni di tonnellate di emissione di CO2.