IMPRESE IN …. DIGITALE – Servono più tutele per chi lavora con le piattaforme digitali: ecco quali

Servono più tutele per chi lavora con le
piattaforme digitali: ecco quali


La diffusione di nuovi modelli organizzativi della produzione e del lavoro
basati sull’uso delle piattaforme digitali ha portato alla luce nuovi rischi
per i lavoratori, che rendono quanto mai attuale il tema della salute e
della sicurezza. Occorre ripensare i principi di tutela base ma servono
anche tutele ad hoc
di Federica Nizzoli_Avvocato
Attualmente il diritto del lavoro ha cominciato a confrontarsi frequentemente
con il tema della digitalizzazione delle attività economiche nonché dei riflessi e
delle implicazioni che essa determina nell’organizzazione del lavoro. Il quadro
normativo attuale in materia di digitalizzazione muove sicuramente
dall’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro delle persone che operano
tramite le piattaforme digitali garantendo una interazione tra lavoratore e
digital economy il più tutelata possibile.
Sulla scorta di questo obiettivo, la diffusione di nuovi modelli organizzativi
della produzione e del lavoro basati sull’utilizzo delle piattaforme digitali ha
portato alla luce nuovi rischi per lavoratori e lavoratrici, i quali rendono, oggi
più che mai, attuale il tema della salute e della sicurezza altresì sulle digital
labour platforms.
I rischi legati al lavoro gestito dalle piattaforme
Sono stati gli stessi lavoratori digitali e i loro movimenti collettivi ad aver posto
l’accento sulla pericolosità che deriva dalle peculiari condizioni lavorative
propria delle piattaforme, con particolare riferimento a una specifica categoria
di lavoratori su piattaforma, vale a dire quella dei ciclofattorini, i cosiddetti
rider.
La stessa Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro non ha
mancato di evidenziare come i rischi, per i platform workers, siano addirittura
superiori e più gravi a causa della perdita dell’effetto protettivo derivante dallo
svolgere la prestazione in un luogo di lavoro stricto sensu.
Molte di queste attività, infatti, hanno luogo in automobili private o in case,
senza contare l’incoraggiamento a ritmi di lavoro estremamente veloci e
senza pause, a loro volta più esposti al rischio di infortuni.
Risulta necessario premettere che i rischi nei quali possono incorrere i
lavoratori su piattaforma non differiscono da quelli cui gli stessi sarebbero
soggetti nell’eventualità in cui la prestazione lavorativa fosse eseguita senza
l’intervento del device informatico. A mero titolo esemplificativo, infatti, il
rischio per un ciclofattorino di incorrere in un sinistro stradale è il medesimo,
sia che l’ordine venga assegnato tramite un’applicazione online, sia
direttamente a voce o telefonicamente. Per converso, è la probabilità che un
determinato rischio si concretizzi a essere mutevole e, possibilmente, oggetto
di aumento, per effetto delle condizioni in cui opera il platform worker.
L’approccio del legislatore europeo
Nel quadro della Strategia per il mercato unico digitale in Europa
(COM(2015)0192), le istituzioni europee hanno fatto proprio un approccio
certamente favorevole al riconoscimento dei diritti fondamentali dei prestatori
d’opera; tra questi non manca la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi
di lavoro.
La significativa importanza assunta dalla platform economy ha portato a
riconoscere una fisionomia più unitaria e compatta del lavoro digitale
medesimo, prevedendo standard minimi di condizioni di lavoro e diritti sociali.
In questo senso l’Unione ha sempre sollecitato i singoli ordinamenti nazionali
affinché intervenissero senza tralasciare i singoli metodi di lavoro connessi
allo sviluppo tecnologico.
La stessa Direttiva in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili
ha rafforzato aspetti quali la durata del tempo di lavoro, in modo tale da
incidere positivamente sulla tutela della salute e della sicurezza, calando il
suddetto approccio nel contesto dei lavoratori digitali.
Ecco che è possibile notare come, a livello europeo, sia ormai insediato un
fulcro di tutele sociali a favore del lavoratore, a prescindere
dall’inquadramento operato da parte degli ordinamenti nazionali. L’approccio
che viene prediletto, infatti, mira a garantire protezione sulla base dell’effettivo
svolgimento di attività, anziché pregiudicarla o renderla dipendente dal
soddisfacimento di particolari vincoli qualificatori.
La figura del fattorino digitale nel quadro della
legislazione nazionale
Per quanto concerne strettamente la realtà nazionale, la prima risposta fornita
da parte dell’ordinamento si è concretizzata nelle previsioni contenute
all’interno della recente L. n. 128/2019, la quale ha apportato modifiche
significative al D.Lgs. n. 81/2015, prevedendo addirittura l’introduzione del
Capo V-bis, il quale è chiamato a disciplinare la “tutela del lavoro attraverso
piattaforme digitali”.
Nella prospettiva definitoria, l’art. 47-bis della summenzionata legge definisce
le piattaforme informatiche come “i programmi e le procedure informatiche
utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento,
sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e
determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
Facendo, invece, strettamente riferimento al tema della tutela della salute e
sicurezza sul lavoro, le previsioni maggiormente significative sono contenute
all’interno dell’art. 47 septies del d.lgs. n. 81/2015. I primi due commi
dell’articolo in esame fanno riferimento al regime applicabile in materia di
copertura assicurativa contro infortuni e malattie professionali.
Nello specifico, i lavoratori su piattaforma sono soggetti alla copertura
assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali prevista dal d.P.R. n. 1124/1965. Il premio di assicurazione INAIL
è determinato in base al tasso di rischio corrispondente all’attività svolta.
Ciononostante, la dottrina non ritiene possibile parlare di efficacia
generalizzata, da parte delle disposizioni del Capo V-bis, nei confronti dei
platform workers. Non a caso, infatti, limitatamente al Capo de quo, si è
parlato addirittura di “labirinto senza uscita”, sulla scorta del fatto che la
definizione di piattaforme digitali, contenuta nell’art. 47-bis, comma 2, D.Lgs.
n. 81/2015, subordinando l’efficacia della disciplina ivi stabilita in favore dei
riders auto-organizzati alla condizione che sia la piattaforma a fissare il
compenso e le modalità con cui la prestazione deve essere eseguita, si
sovrappone alla definizione di collaborazioni organizzate dal committente,
come previsto dall’art. 2, comma 1 del decreto medesimo.
Ad ogni modo, vista la natura autonoma dei rapporti di lavoro con i quali i
platform workers prestano la propria attività, un discorso improntato sulla loro
salute e sicurezza non può fare a meno di prendere in considerazione altresì
le disposizioni di cui al D.Lgs. n 81/2008, la cui integrale applicabilità è stata
confermata anche a livello giurisprudenziale.
Ciononostante, sorge il dubbio relativamente alla possibilità di estendere
anche ai collaboratori e ai prestatori d’opera che svolgono attività lavorativa in
ambienti diversi dalla tradizionale unità produttiva aziendale, le tutele previste
dal D.Lgs. n. 81/2008. Ad oggi queste, infatti, risultano essere indirizzate
unicamente ai lavoratori autonomi e ai collaboratori coordinati e continuativi
fisicamente operanti in ambienti dei quali il committente dispone
giuridicamente.
Tale aspetto problematico è, a maggior ragione, posto alla luce nella misura in
cui la dottrina stessa ha rilevato come l’avvento della digitalizzazione nonché
la conseguente emersione di nuovi lavori, lontani dallo “stabile luogo fisico”,
porti alla luce la necessità di superare l’ormai pregressa equazione
organizzazione-luogo di lavoro, lasciando dunque posto ad una
organizzazione vista come “insieme delle regole mediante le quali si realizza il
progetto produttivo del datore di lavoro o del committente”.
La prevenzione nella digital economy: adeguamento e
prospettive future
Volendo trarre le somme dall’analisi effettuata, sicuramente la risoluzione del
dilemma qualificatorio risulta essere un dato essenziale ai fini della possibilità
di garantire ai platform workers adeguate tutele in materia di salute e
sicurezza sul lavoro. In questa prospettiva, l’impianto del D.Lgs. n. 81/2008
guarda ampiamente alla figura del prestatore di lavoro subordinato. D’altra
parte, il legislatore, con la l. n. 128/2019, ha sicuramente tentato di stabilire
livelli minimi di tutela spingendo la qualificazione dei rapporti di lavoro dei
platform workers verso la strada dell’etero-organizzazione, portando, allo
stesso tempo, la questione dei ciclofattorini all’attenzione degli enti preposti
alla vigilanza.
Vero è che, ad oggi, pare i tempi siano divenuti maturi per una estensione
delle tutele a prescindere dalla qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro
interessati. Nel contempo, tuttavia, tale estensione deve tenere a mente il
carattere eterogeneo del lavoro digitale, operando dunque un ripensamento
dei principi di tutela base nonché di tutele ad hoc, indirizzate a questi specifici
prestatori d’opera.
Un esempio a cui fare riferimento
In questo senso, un esempio cui fare riferimento potrebbe essere contenuto
all’interno della “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto
urbano”, promossa dal Comune di Bologna nel 2021, di concerto con Riders
Union Bologna, Cgil, Cisl, Uil e piattaforme digitali.
La Carta muove infatti dallo scopo di “migliorare le condizioni di lavoro dei
lavoratori e collaboratori digitali operanti nel Comune di Bologna,
promuovendo un’occupazione più sicura e prevedibile e garantendo nel
contempo l’adattabilità del mercato del lavoro digitale nel contesto urbano (…)
indipendentemente dalla qualificazione dei rapporti di lavoro che si servono
per l’esercizio della propria attività lavorativa di una o più piattaforme digitali”
(artt. 1 e 2).
Tali riferimenti paiono certamente interessanti e degni di nota, in quanto
mirano a trascendere il mero dilemma qualificatorio in favore di un vincolo
maggiore a standard protettivi che, una volta applicati, possono fungere da
motore propulsivo dello sviluppo socioeconomico.
fonte: AGENDA DIGITALE

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