INDUSTRIA 5.0 – Cos’è l’Industria 5.0 e perché può guidare uno sviluppo più equo, oltre il profitto

Cos’è l’Industria 5.0 e perché può guidare
uno sviluppo più equo, oltre il profitto


La direzione generale Innovazione e Ricerca della Commissione europea
indica politiche industriali più resilienti e “human centric”. L’opinione
della europarlamentare Tiziana Beghin: “Basta consumo e produzione
fine a sé stessi”
di Nicoletta Fascetti Leon
Neanche il tempo di capire se è davvero compiuto il passaggio dall’industria
2.0 (basata su energia e petrolio) a quella 4.0 (fatta di intelligenza artificiale e
tecnologie digitali), o chiedersi perché abbiamo preso a numerare in questo
modo le rivoluzioni industriali per definire i contorni dello sviluppo, che già si
affaccia all’orizzonte un nuovo paradigma.
È l’industria 5.0, la nuova visione di impresa promossa dalla
Commissione europea, sotto consiglio dell’ESIR, un gruppo di esperti di alto
livello che fornisce consulenza per sviluppare una politica di ricerca e
innovazione lungimirante e trasformativa.
Oltre il profitto, per le persone e l’ambiente
Industria 5.0, secondo gli esperti, dovrà integrare l’attuale paradigma 4.0, puntando
su ricerca e innovazione per la transizione verso un’industria europea
sostenibile, incentrata sull’uomo e resiliente. Si tratta di una quinta rivoluzione,
quasi più culturale che industriale, volta a valorizzare le nuove tecnologie e
raggiungere obiettivi sociali che vadano oltre i posti di lavoro e la crescita, nel
rispetto dei confini del pianeta e del benessere del lavoratore, nuovo protagonista
del processo produttivo. Nelle parole dell’europarlamentare impegnata nella
Commissione per il commercio internazionale, Tiziana Beghin, l’industria 5.0
dovrebbe farsi “strumento per combattere le diseguaglianze, l’inquinamento e le
violazioni dei diritti umani fondamentali”.
Che vuol dire Industria da 1.0 a 5.0?
Ma andiamo con ordine. Perché usiamo questa nomenclatura che rimanda a modelli
di motore più che a passaggi della storia? Il riferimento è all’innovazione tecnologia
alla base delle trasformazioni dei sistemi produttivi: Industria 1.0 è il prodotto della
prima rivoluzione industriale con la macchina a vapore (‘700), Industria 2.0 è data
dalla seconda rivoluzione con motore a scoppio e petrolio (‘800), Industria 3.0
segue alla rivoluzione informatica (‘900), mentre Industria 4.0 si riferisce alla quarta
rivoluzione caratterizzata da intelligenza artificiale e automazione (2000). “Industria
4.0” è di fatto il termine coniato nel 2011 alla Fiera di Hannover, come ipotesi di
progetto per un gruppo di lavoro che ha in seguito presentato al governo federale
tedesco delle raccomandazioni per realizzare un Piano di ammodernamento del
sistema produttivo.
Industria 4.0, automazione e digitale
Il modello tedesco, che prevedeva investimenti su infrastrutture, scuole, sistemi
energetici, enti di ricerca e aziende, è stato fonte di ispirazione per tutti gli altri Paesi.
Anche in Italia è stato presentato nel 2016 un Piano Nazionale Industria 4.0 –
2017-2020, dal Ministero dello Sviluppo Economico. È alla guida dell’industria
contemporanea, dunque, la quarta rivoluzione che ha portato nelle fabbriche un
esteso utilizzo dei dati, l’interazione uomo-macchina e costanti passaggi tra
digitale e reale.
Il suo obiettivo è aumentare la sinergia e l’interconnessione tra tutti i processi
coinvolti per passare dal mercato di massa alla iper-personalizzazione dei
prodotti, generati da processi industriali in cui le macchine sono in comunicazione
tra loro tramite strumenti digitali che permettono una iper-automazione. Secondo un
articolo pubblicato su Nature Sustainability dal direttore dell’Earth Institute alla
Columbia University, Jeffrey Sachs e altri esperti, la quarta rivoluzione industriale
sarebbe una delle sei trasformazioni necessarie per raggiungere gli Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile dell’ONU al 2030.
Perché non basta l’Industria 4.0?
Perché allora un nuovo modello di industria? “Quello che distinguerà
l’industria 5.0 dalle precedenti – spiega ancora l’eurodeputata Beghin – è che
questa sarà un’industria collaborativa, basata su una stretta integrazione tra
l’uomo e la macchina, con l’obiettivo non di sostituire il primo, ma di creare
valore aggiunto, con prodotti sempre più rispettosi dell’ambiente e tarati
sulle esigenze dei consumatori, evitando gli sprechi e tutelando i
lavoratori che producono questi beni”.
L’esigenza di elaborare un nuovo paradigma europeo sembra trovare le sue
motivazioni anche nei recenti eventi emergenziali in cui sono parse evidenti le
falle del sistema. Come fa notare l’economista Roberto Schiattarella, nel suo
articolo “La pandemia mette a nudo la cattiva teoria economica” del 2021, la
contraddizione tra gli equilibri economici e quelli della società sono diventati
impossibili da ignorare durante la crisi pandemica, facendo esplodere il tema
delle diseguaglianze.
Leggi anche: Industria 4.0 e riciclo, nuovi fondi alle imprese per
l’economia circolare
La fine del capitalismo con l’Industria 5.0
La definizione dell’ESIR pubblicata a gennaio 2022 recita: “Industria 5.0
significa innanzitutto un decisivo allontanamento dai modelli del
capitalismo neoliberista, incentrato sulla produzione a scopo di lucro e sulla
‘supremazia degli azionisti’, verso un modello più equilibrato di valore nel
tempo e una concezione polivalente del capitale, umano e naturale, oltre
che finanziario”.
“Non so dire se l’industria 5.0 porterà alla fine del capitalismo – commenta
Tiziana Beghin – ma spero che porti alla fine di un certo tipo di capitalismo, in
cui il consumo e la produzione sono fine a sé stessi e non un mezzo per
elevare il benessere e la vita dei lavoratori e delle persone”.
Di certo un’industria che pone il benessere del lavoratore al centro del
processo produttivo sembra lontana quasi più dei tre secoli trascorsi dalla
(prima) rivoluzione industriale inglese che, oltre a inventare un modello di
sviluppo, ha anche sfruttato la forza lavoro di donne e bambini, provocato il
fenomeno del luddismo e dato il via allo sfruttamento dell’ambiente.
Leggi anche: Tracciare, misurare, condividere. Così la blockchain facilita
la circolarità
Il punto critico delle materie prime
La strategia industriale europea è stata aggiornata nel maggio 2021, con un
focus approfondito sulle dipendenze nell’approvvigionamento di materie
prime, batterie, idrogeno, semiconduttori, etc. In particolare, è emerso come il
98% delle terre rare importate in Europa proviene da un solo Paese, la
Cina. Lo studio ESIR, inoltre, ha sottolineato come “la produzione globale di
materie prime non basterà a coprire i bisogni dei Paesi altamente
industrializzati e di quelli emergenti”.
Non sembra un ostacolo da poco. Per questo l’economia circolare, nel
contesto Industria 5.0, si configura sempre di più come elemento strategico, in
risposta non solo ai cambiamenti climatici ma anche alla dipendenza dalle
forniture extra-continentali. Non a caso uno dei tre progetti premiati agli
Industry 5.0 Award, lo scorso settembre, riguarda un processo di riciclo
ecologico di materie prime come silicio e argento dai rifiuti fotovoltaici
industriali.
Leggi anche: Se la dipendenza dalle materie prime critiche diventa un
boomerang per lo sviluppo sostenibile
Al centro il digitale
L’obiettivo ambizioso di Industria 5.0 – già parte delle principali priorità
politiche della Commissione: European Green Deal, An economy that works
for people, Europe fit for the digital age – di integrare l’uso delle tecnologie
digitali (inclusa l’intelligenza artificiale) con un approccio incentrato sull’uomo,
non sembra missione da poco. Sottolinea ancora Beghin: “l’Europa non è
all’altezza di Stati Uniti o Cina per quanto riguarda lo sviluppo di nuove
tecnologie. Tuttavia – precisa – siamo invece molto all’avanguardia nel
dibattito etico che circonda queste tecnologie. Per esempio io mi sono
occupata degli aspetti etici della blockchain e del suo potenziale utilizzo nel
tracciamento delle certificazioni di sostenibilità e delle violazioni dei diritti
umani nelle catene di valore internazionali”.
In questo quadro, l’Internet of Things, gli algoritmi di intelligenza artificiale, le
infrastrutture digitali, il cloud, i robot , la realtà aumentata e virtuale saranno
tutti elementi utili per abilitare pratiche sostenibili, di formazione e di cura, con
in mente i diritti delle persone.
Sembra utopia? La sfida di un’economia motore di sostenibilità è aperta al
2030.
Leggi anche: Cercasi stili di vita circolari: il ruolo del digitale per
cambiare i nostri consumi

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