Con lo smart working cambiano gli
“spazi” delle imprese
Su Rivista Solidea Valentino Santoni approfondisce come molte aziende
stiano innovando le sedi di lavoro a seguito del crescente ricorso a
forme di lavoro “ibrido”
di Valentino Santoni
Il lavoro agile è divenuto parte integrante della vita di molti. Secondo il policy
brief “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista
dei lavoratori” pubblicato dall’INAPP, nel 2021 i lavoratori che hanno
sperimentato lo smart working sono stati 7.262.999, circa il 32,5% del totale.
Prima della pandemia erano invece solo l’11% (2.458.210).
Coloro che invece ricorrono al lavoro agile in modo continuativo perché
previsto dall’azienda sono una cifra inferiore, ma comunque consistente.
Stando all’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, a fine 2021 i
lavoratori in smart working erano 1,77 milioni. La stessa fonte è però sicura
nel dire che i “lavoratori agili” aumenteranno nel prossimo futuro;
l’Osservatorio stima che nei prossimi anni saranno 4,38 milioni i lavoratori che
opereranno almeno in parte da remoto, di cui 2,03 milioni nelle grandi
imprese, 700 mila delle PMI, 970 mila nelle micro imprese e 680 mila nella
Pubblica Amministrazione.
Dal lavoro agile non si torna indietro, dunque. Lavoratori e aziende hanno
iniziato a comprendere quelle che possono essere le opportunità, sia sul
piano del work-life balance sia sul piano della produttività. Ovviamente se si
tratta di una situazione normale e non dobbiamo fare i conti con una
pandemia che ci costringe a lavorare da casa forzatamente.
Questo sta portando sempre più aziende e professioni a fare i conti con la
diffusione del lavoro “ibrido”, cioè caratterizzato dalla possibilità (o necessità)
di lavorare in parte nella sede dell’impresa e in parte a distanza. Molte
organizzazioni stanno anche iniziando a ripensare i propri spazi, a partire
proprio dagli uffici. Questo luogo – visto in passato come l’ambiente centrale
per l’attività lavorativa – andrà ripensato e riorganizzato nel prossimo futuro.
Probabilmente non ci sarà più una scrivania per ogni lavoratore ma, anche in
questo caso, la condivisione diventerà la regola.
Cosa accade alla sede di lavoro?
Lo stesso Osservatorio del Politecnico ha intervistato le aziende su questo
tema. Oltre la metà delle grandi imprese valuta come necessario intervenire
sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%),
ampliando (12%) o riducendoli (10%); il 38% non prevede riprogettazioni ma
cambierà le modalità d’uso. Solo l’11% tornerà a lavorare come prima. Anche
un recente monitoraggio di AIDP evidenzia come una impresa su 3 ha già
ristrutturato gli spazi per organizzare il lavoro da remoto, mentre il 27% ci sta
lavorando.
Il Coronavirus ha causato quindi dei cambiamenti che, probabilmente, si
ripercuoteranno anche nel modo in cui vivremo questi ambienti di lavoro nei
prossimi anni. Per il 2° Rapporto sul mercato immobiliare 2021 di Nomisma,
curato in collaborazione con lo studio di architetti Cushman & Wakefield, il
mondo degli uffici è stato un ambito fortemente trasformato dalla pandemia.
Proprio Cushman & Wakefield ha condotto un’indagine nel 2021 che ha
coinvolto 340 manager di aziende multinazionali per capire come stessero
affrontando questo momento, quale fosse il loro approccio verso lo smart
working e quali le prospettive future. La prima evidenza emersa dalla ricerca è
che il futuro degli uffici non sarà “binario”: non si lavorerà solo in ufficio o solo
da casa, ma prevarrà un modello di lavoro “ibrido”.
Gli spazi del lavoro si stanno quindi trasformando. Anche secondo il capo del
Dipartimento immobili e appalti della Banca D’Italia, Luigi Donato, la
sperimentazione dell’home working su larga scala sta richiedendo una
rivisitazione dell’attuale configurazione degli uffici. Nel corso di una relazione
presentata in occasione del Real Estate Winter Forum del 2021, Donato ha
affermato che sta emergendo una nuova filosofia e una nuova configurazione
degli spazi per uffici, con le quali il settore immobiliare sta già facendo i conti.
Il mix tra telelavoro e attività in presenza comporta la necessità di garantire
spazi di lavoro efficienti, tecnologici e in grado di facilitare la comunicazione e
la condivisione.
Gli uffici nell’era del lavoro “ibrido”
Se tradizionalmente i parametri di base erano quelli di una postazione fissa,
ma con solo alcune stanze singole per il personale di grado più elevato, ora
assistiamo ad un cambiamento rilevante. Data la sempre maggiore flessibilità
del lavoro, le aziende saranno portate a disegnare gli spazi non solo in base
al numero di persone, ma piuttosto a seconda anche delle funzioni e attività
che i dipendenti devono svolgere.
Inoltre, dato che il lavoro ibrido fa perdere le sinergie e gli scambi di
esperienza che si possono avere solo con il contatto diretto, l’ufficio dovrà
essere impostato in modo tale da essere un ambiente di socializzazione e
relazione; dovrà divenire un luogo in cui promuovere l’identità aziendale e il
senso di appartenenza. Se il tempo condiviso negli ambienti di lavoro sarà
minore, i rapporti diretti tenderanno a rarefarsi: per questo occorre sfruttare al
massimo i momenti e le occasioni di contatto, anche informali.
In sostanza per alcuni sarà necessario iniziare a parlare di smart office, cioè
un ufficio che possiede determinate caratteristiche strutturali e spaziali, nuovi
arredi, ma anche tecnologiche e digitali per sostenere i nuovi processi di
lavoro. Questi sono i presupposti dell’Activity Based Working (ABW),
approccio delineato nel 2017 da Erik Veldhoen, consulente olandese e
direttore della società Veldhoen+ Company.
Secondo questa teoria l’ufficio “smart” dovrebbe poter mettere a disposizione
quattro tipologie di spazi differenti a cui ogni lavoratore potrà fare riferimento
in base alle sue specifiche necessità. Vi è, innanzitutto, lo spazio per la
concentrazione, un’area funzionale allo svolgimento di lavoro individuale e
focalizzata e richiede luoghi silenziosi e attenti alla privacy. C’è poi lo spazio
per la collaborazione, che offre aree per discussioni di gruppo, presentazioni,
videoconferenze, sessioni di brainstorming o riunioni formali. Queste aree
collaborative devono essere possibilmente ampie e provviste di materiali che
possano facilitare la collaborazione.
Vi sono poi gli spazi per la contemplazione e quelli per la comunicazione. I
primi permettono di avere dei momenti di stacco dal lavoro. Pur non essendo
un’azione lavorativa in sé, individuare un’area relax per i dipendenti è
fondamentale al fine di permettere una “rigenerazione” dei lavoratori. Gli spazi
per la comunicazione devono infine prevedere luoghi in cui sia possibile
anche un mix di attività di collaborazione e comunicazione svolte di persona o
in modo virtuale. La natura “mixata” di questi luoghi prevede un layout degli
spazi altrettanto diversificato, con pareti e Open Space, con un isolamento
acustico eccellente che consenta incontri “rumorosi”.
Esempi ed esperienze
Alcune aziende hanno iniziato a seguire questo approccio o comunque stanno
investendo per ripensare i propri spazi. Tra queste c’è Porsche, che ha
ristrutturato alcune sue sedi allo scopo di avere spazi aperti al lavoro comune
con i partner e i clienti, in modo da facilitare la creazione di team
multiaziendali e multifunzionali. L’obiettivo della casa automobilistica tedesca
è quello di eliminare il più possibile i grandi uffici e “spacchettarli” in zone
polifunzionali, seguendo la logica dell’Activity Based Working.
Un’impostazione simile è stata seguita anche da Sap, multinazionale di
applicazioni software, e Metro, realtà italiana che si occupa di grande
distribuzione e servizi alle aziende. In Sap le sedi sono impostate in modo tale
da divenire delle vere e proprie aree di incontro e di collaborazione, non solo
tra i dipendenti, ma aperte a tutto l’ecosistema che ruota attorno alla società e
cioè clienti, partner e fornitori. Proprio perché il lavoro sarà sempre di più un
mix tra presenza e smart working, Metro ha invece scelto di non prevedere
delle scrivanie personali nella nuova sede; piuttosto è stato lasciato più spazio
possibile per le aree comuni: non solo sale meeting, ma anche spazi per la
collaborazione e la socialità tra colleghi.
Un altro esempio interessante è poi quello di Casa Siemens, la sede milanese
della multinazionale che “ospita” oltre 1.800 dipendenti. Proprio allo scopo di
conciliare le esigenze dei lavoratori, Siemens ha scelto di dare spazio ai
luoghi di incontro, come aree di co-working, bar, palestra, aree di eventi
digitali, e agli spazi di collaborazione con i clienti, come i centri di competenza;
inoltre tutta la struttura è circondata da 25 mila metri quadrati di Orti in cui i
lavoratori possono coltivare, fare sport e lavorare.
Questi sono solo alcuni esempi, che però mettono in chiaro come le grandi
aziende che hanno visto aumentare lo smart working esponenzialmente si
stanno mettendo all’opera per ripensare i loro uffici e, più in generale, i loro
spazi. Sempre di più sarà infatti importante costruire degli ambienti che siano
funzionali con gli obiettivi che l’impresa si propone e, al tempo stesso, con le
necessità e i bisogni delle persone coinvolte nell’organizzazione.