Contagi, cure, vaccinazioni: il punto
su COVID-19
di Cristina Da Rold
I contagi continuano a manifestarsi e la domanda, dopo oltre due anni, è
sempre la stessa, anche se forse ce la poniamo meno a gran voce:
dobbiamo preoccuparci ancora?
Fra la possibilità di eseguire tamponi in autonomia a casa evitando in molti
casi di sottoporsi a test ufficiale, la diffusa abitudine di fare un tampone
solamente in presenza di sintomi, e il contact tracing non pervenuto, è
evidente che i numeri dei nuovi casi di COVID-19 non possono che essere
sottostimati. Ma anche al ribasso, questa terza estate di pandemia sembra,
quanto a contagiosità del virus, diversa rispetto alle due precedenti.
Con il caldo i contagi nelle scorse settimane sono saliti invece di diminuire,
come invece accadeva gli anni precedenti, ma le ospedalizzazioni, le terapie
intensive e i decessi fortunatamente, per quanto superiori alle estati passate,
sono ampiamente al di sotto delle ondate precedenti. Il tasso di occupazione
dei posti letto in terapia intensiva il 5 luglio 2022 è del 3,5%, rispetto al 2,5%
del 27 giugno, sempre ben al di sotto delle soglie considerate critiche. Lo
stesso vale al momento per il tasso di occupazione in aree mediche
COVID-19 a livello nazionale: 12,5% il 5 luglio rispetto al 9,2% del 27 giugno.
Nel passaggio da Alpha a Delta e infine a Omicron, il virus ha dovuto fare una
sorta di “baratto”: per ottenere il vantaggio di replicare di più, come
osserviamo chiaramente con le ultime varianti di Omicron, anche con BA.5,
deve pagare il “prezzo” di non riuscire a infettare con la stessa efficienza
l’albero respiratorio inferiore. L’incidenza di polmoniti con Omicron è molto più
bassa che con Alpha e Delta.
In ogni modo, nemmeno il numero di ospedalizzazioni e di decessi va preso
alla lettera, dal momento che la gravità di una patologia preesistente può
essere accentuata da COVID-19, oppure il contagio può avvenire proprio
durante un ricovero per altre ragioni; come sappiamo dopo due anni è
complesso attribuire delle causalità per tutti i casi. Tuttavia, che sia con o per
COVID, questo bias vale oggi così come valeva nel 2021 e nel 2020.
Anche a livello europeo e nel resto del mondo, la situazione è simile alla
nostra.
Le tre domande attuali
Dopo qualche mese di stasi, il dibattito intorno alla famigerata “quarta dose” –
o seconda dose booster – sta riprendendo fuoco. Vi sono a questo proposito
tre domande più che legittime. La prima: ha senso sottoporsi ora a una quarta
dose di un vaccino “vecchio” o è meglio attendere la versione “aggiornata” su
Omicron che dovrebbe essere disponibile già in autunno? La seconda
domanda è se avrebbe senso investire in una nuova campagna vaccinale per
tutta la popolazione, alla luce del fatto che da inizio 2022 abbiamo a
disposizione delle terapie efficaci come gli anticorpi monoclonali e gli antivirali
per fermare la malattia al suo esordio. La terza domanda infine riguarda
l’utilizzo delle mascherine: è realistico pensare di continuare a obbligare a
usare le mascherine in alcuni luoghi al chiuso come “arma” per contrastare la
pandemia – magari senza investire in impianti di purificazione dell’aria – ora
che sostanzialmente non ci sono più restrizioni che impediscano la nostra
“normale” vita sociale, e soprattutto ora che abbiamo vaccini e farmaci
specifici per i casi gravi?
La questione di fondo a queste tre domande è sempre la stessa: possiamo
realisticamente pensare di arrestare la diffusione di SARS-CoV-2 o la
direzione è attrezzarci per farvi fronte?
I vaccinati si ammalano ancora molto meno
Le due armi che abbiamo oggi e che non avevamo ieri sono le vaccinazioni e
l’introduzione all’inizio del 2022 di anticorpi monoclonali e antivirali, che
stanno rivoluzionando il trattamento dei casi potenzialmente gravi di
COVID-19.
Per quanto riguarda le vaccinazioni, con buona pace dei detrattori a priori, la
matematica è chiara in merito: seppure modulati sulle primissime varianti del
virus, non evitano più le infezioni ma attutiscono ancora notevolmente la
portata della malattia. L’ultimo rapporto ISS di inizio luglio 2022 mostra che fra
gli over 60, fra i non vaccinati o i vaccinati da oltre tre mesi e i vaccinati
completi o con booster la differenza in termini di malattia grave o morte si fa
sentire. Fra gli over 80 non vaccinati si sono contati nella prima settimana di
luglio 126 decessi su 1000 abitanti e appena 16 fra i vaccinati con dose
booster. Fra i 60-79enni siamo in rapporto 8 morti a 1 ogni 1000 persone. Si
tratta comunque di numeri assoluti molto bassi. Sette su dieci deceduti hanno
più di 80 anni.
Vediamo ora le terapie intensive: fra gli over 80, 13 non vaccinati su 1000
finiscono in rianimazione, contro i 2 vaccinati con booster; fra i 60-79enni il
rapporto è di 4 a 1 su 1000. Anche i ricoveri in area non critica mostrano lo
stesso gap: 60 ricoveri contro 19 fra i 60-79enni e 398 contro 78 fra gli over
- Fra le fasce d’età più giovani il gap è meno evidente, e i numeri assoluti
sono estremamente più bassi, segno che il vaccino protegge maggiormente i
più fragili. E c’è di più: i dati mostrano che fra le fasce d’età più anziane i
vaccinati si contagiano molto di meno, a differenza dei più giovani, che
presentano i medesimi tassi di infezione tra vaccinati e non.
Chi è a rischio di malattia grave?
A due anni dall’inizio della pandemia non sappiamo capire a priori chi si
ammalerà in forma grave. Sappiamo leggere i primi sintomi preoccupanti, e
conosciamo i fattori di rischio che portano con più frequenza a esiti più
impegnativi.
Uno strumento cruciale per fare questo è avere a disposizione i dati clinici
degli ospedalizzati e dei deceduti: non solo cioè età e genere, ma malattie
pregresse e terapie in corso. I dati, insomma, delle cartelle cliniche, che
purtroppo però sono disponibili solo per una fetta degli ospedalizzati,
precisamente 8.436 deceduti su 138 mila persone morte da inizio pandemia.
A fine aprile 2021 l’ISS aveva analizzato le cartelle cliniche di 6.713 pazienti,
che significa che in nove mesi il miglioramento è stato piuttosto scarso. L’Italia
è in forte ritardo rispetto al Fascicolo Sanitario Elettronico.
Oltre un anno fa era stata siglata una collaborazione fra l’Accademia dei
Lincei e l’ISS in questa direzione, ma oggi chi scrive non ha potuto avere una
risposta da nessuno dei due interlocutori per capire a che punto siamo.
L’Accademia dei Lincei ha risposto che – come è comprensibile – il prof. Parisi
non ha modo di rispondere in questo momento [dopo la vittoria del premio
Nobel nel 2021] e nessun altro saprebbe darmi questa informazione; dall’ISS
hanno risposto che cercano di trovare qualcuno che sappia darci questa
informazione. Attendiamo.
L’ultimo rapporto ISS in merito risale a gennaio 2022: 7 su 10 di queste
persone presentavano 3 o più patologie pregresse. Il 65% era iperteso, il 29%
diabetico, il 28% soffriva di cardiopatia ischemica, il 25% di fibrillazione atriale,
il 23% di demenza, il 16% aveva avuto una forma attiva di cancro negli ultimi
5 anni, l’11% era obeso.
Quanti sono i morti dopo la vaccinazione
Chiaramente non possiamo ignorare il tema degli effetti collaterali delle
vaccinazioni. A un anno e mezzo dalla loro introduzione, iniziamo ad avere dei
dati abbastanza solidi di farmacovigilanza (diciamo abbastanza perché solo in
una parte dei casi è possibile attribuire causalità fra l’assunzione del vaccino e
l’effetto grave, e la segnalazione ad AIFA è facoltativa da parte del medico). In
ogni modo è attiva dal 20 giugno 2022 la nuova Rete Nazionale di
Farmacovigilanza, anche per le sospette reazioni avverse a farmaci e vaccini.
Tra le novità anche un nuovo formato standard internazionale per la
segnalazione delle sospette reazioni avverse, che, a partire dal 30 giugno
2022, viene utilizzato in tutti i paesi dell’Unione Europea per inviare e ricevere
segnalazioni da e verso il Sistema EudraVigilance.
In Europa l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) ha contato al 29 maggio
2022 per Comirnaty (Pfizer) 786 mila effetti avversi su 640 milioni di dosi per
un totale di 7.935 decessi riportati (che non significa comunque ne sia stata
dimostrata la causalità); per Vaxzevria (AstraZeneca) 276 mila effetti avversi e
1.529 decessi su 69 milioni di dosi; per Spikevax (Moderna) 219 mila effetti
avversi e 1.059 morti per 152 milioni di dosi; per Jcovden (Janssen) 50 mila
effetti avversi e 319 decessi per 19,5 milioni di dosi; e infine per Nuvaxovid
(Novavax) 964 effetti avversi e nessun decesso per 210mila dosi. Parliamo di
Europa, non di Italia.
Sarà interessante confrontare i dati della farmacovigilanza con ciò che
emerge dagli studi clinici più ampi in merito.
Quanti anticorpi monoclonali e antivirali stiamo usando?
La seconda potente arma sono i farmaci specifici contro COVID-19, che sono
giunti sul mercato in Italia a partire dalla fine del 2021 (gli anticorpi
monoclonali) e all’inizio del 2022 (gli antivirali). Si tratta di farmaci indirizzati a
pazienti non ospedalizzati per COVID-19 con malattia lieve-moderata di
recente insorgenza e con caratteristiche che potrebbero portare a una
malattia grave. Devono però essere somministrati a seconda del farmaco
entro 5-7 giorni dall’insorgenza di sintomi.
AIFA pubblica settimanalmente i dati su quanti trattamenti vengono attivati per
regione e per tipo di farmaco, e quanti pazienti sono inclusi. Da inizio anno a
oggi per i monoclonali siamo passati da 30 mila a 64 mila persone che ne
hanno beneficiato; per gli antivirali da poco più di 4 mila trattamenti a inizio
gennaio ai 77 mila di fine giugno. Siamo a una prevalenza sul totale dei
positivi dello 0,15%, cioè 15 ogni 10 mila positivi per sotrovimab (anticorpo
monoclonale noto come Xevudy), 0,33% cioè 33 per 10 mila positivi per
molnupinavir (antivirale noto come Lagevrio) e 0,28% cioè 28 per 10 mila
positivi, per nirmatrelvir/ritonavir (antivirale noto come Paxlovid).
Gli anticorpi monoclonali hanno mostrato ottimi risultati di efficacia per evitare
le ospedalizzazioni e sono ben tollerati anche da pazienti che assumono altre
terapie, mentre gli antivirali presentano effetti collaterali più pesanti e
controindicazioni nella combinazione con altri farmaci, e pertanto solo alcune
categorie di pazienti possono beneficiarne. La questione dell’efficacia dei
monoclonali per pazienti già ospedalizzati è invece meno chiara, come spiega
un commento apparso su The Lancet l’8 luglio 2022.
Quarta dose adesso: si o no?
L’Italia è uno dei paesi che ha risposto più prontamente in Europa alla
richiesta di EMA di proporre la quarta dose per alcune categorie di persone.
Di fatto il nostro paese ha acquistato grosse quantità di vaccini al momento
non ancora utilizzate. Non è semplice farsi un’idea: da un lato sono previsti gli
“aggiornamenti” dei vaccini a RNA per inizio autunno – che nonostante ancora
non siano stati pubblicati documenti ufficiali da parte delle aziende
farmaceutiche sappiamo saranno bivalenti, cioè con una parte modulata sulla
variante di due anni fa e una su Omicron. Ce la faremmo poi, a vaccinare tutte
le categorie vulnerabili in fretta in autunno? Dall’altra parte, seppur datati,
anche i vaccini in uso proteggono quasi tutti dalle forme gravi di malattia, e
contagiarsi o ricontagiarsi con la nuovissima variante è estremamente
frequente.
Servirà un’attentissima valutazione epidemiologica e clinica da parte delle
autorità del rischio reale per le fasce più vulnerabili, prima di scegliere che
direzione intraprendere.
fonte: VALIGIA BLU