SANITA’ – In 10 anni tagliati 25 mila posti letto e oltre 42 mila dipendenti. I Clinici Ospedalieri e Universitari: “Serve un ospedale adeguato ed esteso al territorio per evitare il collasso”

In 10 anni tagliati 25 mila posti letto e oltre
42 mila dipendenti. I Clinici Ospedalieri e
Universitari: “Serve un ospedale adeguato
ed esteso al territorio per evitare il
collasso”


Le proposte del Forum delle 30 Società Scientifiche dei Clinici
Ospedalieri e Universitari Italiani. Francesco Cognetti, coordinatore
Fossc: “La riforma della Medicina Territoriale è insufficiente a colmare le
gravi lacune sempre più evidenti, che rischiano di compromettere la
qualità dell’assistenza negli ospedali. Chiediamo più risorse e personale
per fermare l’emorragia dei camici bianchi e ribadiamo al Ministro la
necessità di un tavolo comune per affrontare tutti i gravi problemi del
sistema sanitario, che in un decennio è stato depauperato di 37 miliardi”
Il progressivo depotenziamento dell’assistenza ospedaliera del nostro Paese
è nei numeri. In dieci anni (2010-2019), gli istituti di cura sono diminuiti da
1.165 a 1.054, con un taglio di circa 25mila posti letto di degenza ordinaria (da
215 mila a 190 mila). Non solo. Il personale dipendente del Servizio Sanitario
Nazionale è diminuito di 42.380 unità (da 646.236 a 603.856) e il
definanziamento della sanità ha raggiunto i 37 miliardi.
La pandemia ha mostrato la debolezza del sistema e l’attuale crisi dei Pronto
Soccorso non è altro che il risultato di anni di tagli e la punta dell’iceberg di un
sistema ospedaliero in affanno. E le proposte di riforma della medicina
territoriale (Decreto Ministeriale 71) sono insufficienti a colmare le gravi lacune
sempre più evidenti, che rischiano di compromettere la qualità dell’assistenza.
L’esigenza di avvicinare le cure all’ambiente di vita dei pazienti non può
essere soddisfatta semplicemente con la creazione di nuove strutture, le
cosiddette Case di Comunità (una ogni 50mila abitanti), definizione peraltro
impropria in quanto non di comunità si tratta bensì di popolazione, o peggio i
Distretti sanitari (uno ogni 100mila abitanti), come previsto dal DM 71.
Per questo serve un nuovo modello, in cui territorio e ospedale siano
interconnessi. A partire da un ospedale “adeguato”, che sia esteso al territorio,
ridefinendo i parametri che finora ne hanno caratterizzato l’organizzazione e
che risalgono al 1968.
È quanto chiede il “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici
Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC), oggi in una conferenza stampa
virtuale, con l’intervento di Walter Ricciardi (Membro del Consiglio Esecutivo
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e Presidente del ‘Mission Board for
Cancer’ dell’Unione Europea).
“Concordiamo sulla necessità di potenziare la medicina del territorio – afferma
Francesco Cognetti, Coordinatore del Forum -, ma riteniamo che non sia
sufficiente per risolvere i problemi dell’ospedale, a partire dalle liste di attesa e
dal collasso dei Pronto Soccorso: i problemi più evidenti che sono all’onore
delle cronache rappresentano la parte immediatamente visibile di una
sofferenza ben più ampia, che coinvolge l’intero Servizio Sanitario Nazionale
e che si sta già progressivamente manifestando in tutta la sua drammaticità. A
tale proposito, le soluzioni da prospettare non devono avvenire isolatamente,
ma in una logica di sistema. Va superata la storica dualità fra ospedale e
territorio, a favore di un unico sistema di servizi interconnesso, continuo e
complementare in cui prevalga l’idea di ospedale esteso al territorio e
adeguato alle necessità della popolazione, avendo ben presente la sua
complessità scientifica, clinica e organizzativa”.
“Per questo vanno rivisti completamente i parametri organizzativi dei
nosocomi sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015), di
cui auspichiamo una profonda e radicale revisione. Chiediamo che l’Ospedale
venga ripensato in ragione delle esigenze epidemiologiche che sono
chiaramente mutate negli ultimi anni, le cui risposte necessitano di
provvedimenti sia quantitativi che qualitativi. È necessario che il numero di
posti letto di degenza ordinaria cresca ben oltre i 350 per 100.000 abitanti
odierni fino a raggiungere almeno la media europea di 500. Anche il numero
di posti letto di terapia intensiva deve superare i 14 posti letto, peraltro rimasti
sulla carta e mai raggiunti, per raggiungere almeno i 25 per 100.000 abitanti”.
Apprendendo dalla lezione della pandemia è necessario anche prevedere
aree di terapia semi-intensiva sia nel Dipartimento Medico che nel
Dipartimento d’Emergenza.
È inoltre reale il rischio che l’attivazione di strutture territoriali in assenza di
adeguato personale medico comprometta il sistema delle cure primarie,
definito addirittura già da una Convenzione Internazionale e svolto attraverso
il medico di medicina generale con la presa in carico di tutti i cittadini davvero
in prossimità della loro soglia di residenza. Le cure primarie infatti hanno nulla
o poco a che fare con i Servizi Territoriali, rappresentano invece la prima
occasione di contatto degli individui e delle famiglie con il Sistema Sanitario e
costituiscono il primo elemento di un processo continuo di assistenza
sanitaria, un settore ben definito di assistenza da preservare ed anzi da
potenziare.
“È in atto, inoltre, un progressivo appannaggio di prestazioni a favore del
privato rispetto al pubblico che viene così depauperato – continua Cognetti -.
Come ha ribadito Papa Francesco nella recente udienza con i dirigenti di
‘Federsanità’, ‘occorre confermare l’importanza del sistema di sanità pubblica
e per ridurre le disuguaglianze in tema di salute occorre lavorare perché tutti
abbiano accesso alle cure, il sistema sanitario pubblico sia sostenuto e
promosso, e continui ad essere gratuito. Tagliare le risorse per la sanità
rappresenta un vero e proprio ‘oltraggio’ all’umanità’. Queste le dure e solenni
affermazioni del Santo Padre che rappresentano un monito per tutti”.
Gli operatori sanitari sono inadeguati in rapporto alla popolazione del nostro
Paese: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila unità in
meno della Germania e 43mila in meno della Francia. In Italia, come
evidenziato in un recente articolo pubblicato su “The Lancet”, l’emorragia dei
camici bianchi riguarda anche i medici di medicina generale: sono circa
40.700, ma ogni anno 3000 vanno in pensione. E si assiste a un consistente
esodo di medici neolaureati e specializzandi, perché all’estero gli stipendi e le
condizioni di lavoro sono nettamente migliori.
“La nuova articolazione delle cure territoriali delineata dal DM 71, pur
altamente auspicabile, presenta un assetto ed un modello corrispondente ad
una filosofia comunitaria anzi addirittura di popolazione (50.000/100.000
cittadini utenti) che appiattisce la diversità e la complessità della moderna
domanda di salute e sembra completamente slegata dall’ambito ospedaliero
con il quale invece dovrebbe strutturalmente collaborare – spiegano le 30
Società Scientifiche riunite nel Forum –. La sensazione, anzi la convinzione
confermata dai fatti, è che si voglia investire sulle strutture più che sulle
persone. In realtà il sistema è vicino al collasso. Non basta la costruzione di
nuovi edifici, come le Case di Comunità, che non rispondono affatto all’idea di
prossimità delle cure e rischiano di restare cattedrali nel deserto senza alcun
collegamento con l’ospedale. La prossimità non è un semplice criterio
geografico. Il DM 71 inoltre delinea una controriforma, perché riduce al
minimo la funzione del medico di famiglia, che cessa di essere uno dei pilastri
del sistema e viene minato nella sua efficienza ed operatività nelle cure
primarie. Inoltre attribuisce, almeno in parte, le cure primarie alle cosiddette
Case di Comunità, cioè a strutture poliambulatoriali che di fatto rappresentano
un diverso setting assistenziale principalmente dedicato all’assistenza di
pazienti cronici stabilizzati ma anche eventualmente ad altre molteplici
attività”.
“E preoccupano iniziative come quella della Regione Lombardia, che ha
annunciato di avviare una sperimentazione per favorire la supplenza
‘organizzativa’ degli infermieri nei confronti dei medici di medicina generale –
affermano le Società Scientifiche -. Si tratta di una risposta confusa, sbagliata
e quasi disperata al problema della grave carenza di personale. Rivolgiamo
un appello al legislatore perché consideri contestualmente la riforma
dell’assistenza territoriale e di quella ospedaliera”.
“Oltretutto non si ottiene l’auspicata diminuzione degli accessi a bassa priorità
nei Pronto Soccorso solo con il potenziamento del territorio, su cui vanno
ridistribuite le istanze cliniche meno acute – sottolineano le Società
Scientifiche -. Serve un cambiamento culturale. Ciò che è territoriale deve
essere considerato pre e post-ospedaliero, in una visione integrata delle due
realtà. Resta infatti il problema delle acuzie, comprese quelle ricorrenti nel
paziente cronico: questo tipo di assistenza richiede competenze e tecnologie
che non rientrano nelle Case di Comunità. Con l’esclusione di una minima
parte di casi e per evitare incidenti potenzialmente gravissimi, la sede della
valutazione di questi pazienti resta l’Ospedale, in particolare il Pronto
Soccorso”.
La pandemia ha evidenziato una doppia criticità: l’assenza del territorio e
l’insufficienza dell’ospedale. E quest’ultima non corrisponde alle mancanze del
territorio, perché contiene un’enorme quota di bisogni clinici, tecnologici e di
competenze specifiche, che stanno diminuendo sempre di più nei nosocomi.
“Il parametro dei posti letto non deve più essere considerato statico, ma
dinamico in relazione alle necessità – spiegano le Società Scientifiche -. I
posti letto dovranno essere assegnati alle singole discipline mediche e
chirurgiche e calcolati sulla base dei dati di prevalenza delle varie patologie.
Serve anche un investimento nelle discipline mediche. Chiediamo una
crescita numerica consistente dei medici specialisti ospedalieri, tale da
raggiungere gli standard di altri Paesi europei occidentali, ed un aumento
della stessa entità del personale infermieristico. Il sistema complessivo dovrà
configurare una sorta di logica dipartimentale con l’idea del vero e proprio
ospedale (generale o specialistico classicamente inteso), che si estende
funzionalmente anche alle realtà sanitarie territoriali. Ci rendiamo conto che
rivedere il DM 70, come da nostre proposte, implichi una crescita di spesa per
il fondo sanitario”.
“È infatti impossibile ripensare i nosocomi, accrescerne la funzionalità e
incrementare il loro grado di adeguatezza con il bisogno di cura della
popolazione a invarianza di costo – concludono -. Se si entra nella logica della
ri-spedalizzazione, è necessario passare dal risparmio all’investimento.
Rivendichiamo un ragionevole rifinanziamento della spesa ospedaliera, ma
nello stesso tempo ci rendiamo disponibili a ricercare con le Istituzioni un
accordo di sostenibilità per eliminare diseconomie, superare
disorganizzazioni, ridurre gli sprechi tuttora largamente esistenti a livello
locale, in una parola per trovare soluzioni che consentano, a seguito di una
crescita della spesa, di garantire un valore aggiunto”.
fonte: QUOTIDIANOSANITA’

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