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Pnrr, giovani in fuga, tecnologia: la mappa
delle sfide per gli studi professionali


di Valeria Uva
La decima edizione dell’Osservatorio del Politecnico sui professionisti:
investimenti stabili nel 2022, solo i più grandi già a fianco delle aziende
per la digitalizzazione. Sei su dieci non hanno il sito
Sono due le grandi sfide che attendono gli studi professionali. La prima è la
capacità di attrarre e trattenere i giovani in fuga dalle professioni, l’altra è di
cogliere le opportunità del Pnrr, rafforzando il ruolo di supporto alle imprese
nell’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Lo evidenzia anche l’ultimo
rapporto dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale del Politecnico
di Milano presentato il 4 giugno 2023. .
Meno della metà degli studi ha un sito internet
A un primo sguardo, dall’alto, entrambe le sfide sembrano difficili da
raggiungere: meno della metà degli studi italiani di commercialisti, avvocati e
consulenti del lavoro ha un sito internet; la media degli investimenti in
tecnologie per queste categorie resta sotto i 10mila euro annuali (eccezion
fatta per le realtà multidisciplinari). Tra i piccoli, uno su quattro fronteggia un
calo del 10% della redditività (35% per i microstudi). E tra tutti serpeggia il
timore di non riuscire a trovare i giovani talenti per affrontare il passaggio
generazionale.
Meglio grandi studi e quelli multidisciplinari
Ma sotto questa superficie la realtà è molto più frastagliata e dinamica.
«I grandi studi e quelli multidisciplinari hanno già imboccato la corsia di
sorpasso», sintetizza Claudio Rorato, direttore scientifico e responsabile
dell’Osservatorio (ai fini della ricerca si considerano grandi gli studi che hanno
oltre 30 tra dipendenti e collaboratori, ndr). Il divario tra questi e le piccole e
medie realtà (che però sono in maggioranza) è sempre più ampio: «I grandi
hanno ormai interiorizzato la cultura digitale – prosegue Rorato –, vedono le
nuove tecnologie come alleate e non come un costo e hanno avviato processi
di cambiamento».
I piccoli
Processi che non intaccano ancora la maggioranza dei piccoli, i quali
«faticano a intercettare il cambiamento, restano ancorati a una clientela di
vicinato e possono investire poco sulle tecnologie», sintetizza il direttore. E
visto il peso preponderante dei piccoli anche nel campione statistico del
Polimi, basato su circa 4mila studi, si spiega la sostanziale staticità dei risultati
medi.
Le tecnologie
Il 2022 è stato, sostanzialmente, un anno di attesa tanto che gli investimenti in
nuove tecnologie sono rimasti stabili: +0,4% rispetto al 2021. Ma le realtà
multidisciplinari hanno speso in media 25mila euro, mentre i legali solo 9mila.
Aggiunge la ricerca: «Destano preoccupazione soprattutto i microstudi –
trasversali a tutte le categorie esaminate – che nel 63% dei casi non superano
i 3mila euro di investimenti annui in tecnologia». Questo li espone alla fragilità
perché «restano concentrati sui servizi tradizionali e generalisti, soggetti alla
price competition, e il mercato li percepisce come indifferenziati». Sono
migliori, per tutti, le prospettive per l’anno in corso, con una crescita del 7%
delle previsioni di spesa. «In questi anni di pandemia, inflazione e shock
energetico, gli studi hanno dovuto limitare le spese, anche perché hanno fatto
da sostanziale “cassa” ai clienti, rinunciando a incassi puntuali», aggiunge
Rorato. Ma a preoccupare è anche la scelta delle tecnologie su cui si investe,
in gran parte guidata dagli obblighi di legge (fattura elettronica e
conservazione digitale, ad esempio, come mostra anche la grafica in pagina).
Il Covid ha portato quasi ovunque le videoconferenze. Ma non il sito internet
(in media nel 40% degli studi). Per non parlare di strumenti più evoluti come
l’intelligenza artificiale e i chatbot, che restano di nicchia: nove studi su dieci
non pensano di introdurli nemmeno in futuro. «In realtà, prima ancora dell’Ai, i
professionisti dovrebbero sviluppare un progetto con l’enorme mole di dati che
hanno da sempre a disposizione – osserva Rorato –, perché sono seduti su
un tesoro e non lo sanno».
L’evoluzione
L’indagine del Politecnico compie quest’anno dieci anni. In questa prospettiva
più ampia, la trasformazione si avverte. «Il cambiamento c’è stato ed è stato
culturale», spiegano ancora dall’Osservatorio. Molti professionisti hanno
acquisito consapevolezza dell’importanza delle tecnologie («ora sono un
investimento e non più un costo»), sono sempre più vicini agli imprenditori per
consigliarli nelle strategie e hanno capito l’importanza della formazione.
«Sviluppare politiche commerciali per attrarre i clienti non è più un tabù»,
afferma Rorato.
Il Pnrr
I professionisti possono ora cogliere nuove opportunità dai fondi del Pnrr, che
finanziano, tra l’altro, la digitalizzazione e la transizione ecologica anche dei
loro principali clienti: le Pmi.
Per farlo, devono affiancare nelle scelte strategiche e gestionali gli
imprenditori. Già oggi, secondo l’Osservatorio, il 27% delle Pmi si è rivolto a
un professionista come primo referente per la digitalizzazione. Ma molto
spazio di mercato resta inesplorato se si guarda al restante 73% di
imprenditori che si è rivolto altrove.
I giovani
La ricerca indaga le cause di una “crisi di vocazione” dei giovani verso la
professione dalla prospettiva dei professionisti-datori di lavoro: oltre alle
retribuzioni non allettanti, pesano lo scarso equilibrio vita privata-lavoro e la
mancanza di percorsi di carriera strutturati. Commenta Federico Iannella,
ricercatore dell’Osservatorio: «Tutti sono consapevoli di poter offrire poco, dal
punto di vista retributivo e non solo, ma è importante che il problema se lo
stiano già ponendo».
fonte: IL SOLE 24 ORE

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